Il peso di una medaglia e la leggerezza di averla già vinta. Giuliano Razzoli, a 33 anni, conosce bene le due facce di quel sigillo che il 27 febbraio 2010, sui monti di Whistler Creekside, fece di lui il campione olimpico di slalom, ultimo oro azzurro nello sci a cinque cerchi. Quel giorno in Canada, 22 anni dopo Tomba, 34 dopo Gros e 38 dopo Thoeni, lui scrisse la storia e l'Italsci sperò in un rinascimento che oggi, nonostante risultati importanti non è più fiorito con il colore dell'oro. I nostri 121 atleti al 38simo parallelo proveranno da domani a riempire ancora gli annali. Razzo, no, è rimasto a casa, a Villa Minozzo perché piedone l'Emiliano ha anche conosciuto l'inferno di due stagioni terribili. Prima a combattere contro un ginocchio rotto nella nebbia di Kitzbhuel «la pista del mio destino, quella che più ha mi ha dato e più mi ha tolto», e poi contro punti e regolamenti. Si, perché lo sci non perdona: quando esci dalla top 30, le malebolge dello sci ti risucchiano rapide.
Razzoli, lei era fra i migliori 30 fino a dicembre, poi nelle ultime gare è scivolato fino a partire col pettorale 64: quanto è difficile?
«Bisogna essere all'altezza e stare molto bene per partire così indietro: io non ero più abituato alla buca e alle piste rovinate. Niente scuse, però. Per tornare a galla si debbono fare anche molte gare extra coppa del Mondo, per abbassare il punteggio e non è facile organizzarsi: o gareggi per migliorare il tuo punteggio, o ti alleni per migliorare la tua forma. Spesso non ottieni né l'uno né l'altro».
Che programma ha in questi giorni senza PyeongChang?
«Guardare i miei compagni in tv e allenarmi per il mio prossimo obiettivo. Siccome i Giochi sono sfumati, punto ai Mondiali del 2019, poi vedrò».
I giochi, allora non sono finiti?
«Quando capirò di non essere più competitivo, smetterò. Ma potendomi allenare bene proverò ancora a dire la mia».
Quanto pesa saltare un'Olimpiade?
«È giustissimo così. Alle Olimpiadi non avrei mai voluto andare per partecipare, ma almeno per combattere per un podio. Quindi ora è giusto fare i pali qui a Pozza di Fassa, poi farò coppa Europa per abbassare i punti e ancora una gara di coppa del Mondo a Kranjska Gora. Quindi via con la preparazione estiva che in parte mi è mancata quest'anno».
Calma: lei in fondo una medaglia l'ha già vinta...
«E penso di averla vinta proprio perché sono così tenace e anche perché ho fatto tanta fatica. Se mi fosse venuto tutto più facile, magari avrei avuto più fortuna in carriera, ma la medaglia non l'avrei vinta».
Coriaceo?
«A 15 anni smisi di sciare per due anni per il mal di schiena. Col 47 di piede mi hanno dovuto operare per i calli degli scarponi. Mi sono rotto il ginocchio (il crociato anteriore, la cosa peggiore per uno sciatore ndr), quando ero tornato forte nel 2015 dopo un altro infortunio. Una preparazione senza intoppi? Vediamo: ricordo che forse fu proprio nell'anno olimpico, 8 stagioni fa».
Anche ai suoi compagni dello slalom sembra mancare qualcosa mentre invece gli avversari - Hirscher e Kristoffersen in testa - hanno preso il largo.
«Hirscher ha fatto un passetto avanti, Kristoffersen un mezzo indietro, così lottano sui centesimi. Vedo che il gruppo degli inseguitori è sempre più numeroso e competitivo. Non saprei dire che cosa manca a noi azzurri: abbiamo tutti i mezzi, ma in effetti in questa stagione è mancato anche il podio».
Come si vive da highlander, senza eredi olimpici?
«Spero di non restare a lungo l'ultimo olimpionico. Io vinsi dopo molto tempo da Tomba, speriamo i tempi si accorcino».
E il passato è quella medaglia?
«Se qualcuno viene a trovarmi e me lo chiede, la guardiamo insieme. È una grande gioia, ma devo guardare avanti. E so già dove».
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