«Devo accettare la realtà: la perfezione non esiste». Un anno dopo Jannik Sinner è diventato uomo, felice per aver vinto il trofeo che sognava da bambino, eppure con gli occhi ancora velati di incertezza, dopo mesi passati a lottare contro il suo futuro. Quello che era un ragazzo predestinato è diventato adulto, ed ha capito che il mondo non va verso una direzione sola: «Anche in finale contro Fritz non è andato tutto bene. Questo vuol dire che si deve sempre migliorare, non tutto può essere perfetto». È superare i limiti per andare oltre, «dentro la mia testa mi è chiaro che è così, e adesso so che devo accettarlo».
New York, la città delle luci brillanti, una coppa che luccica in mano davanti ai flash dei fotografi, il sogno di un bambino che ha scelto il tennis come ragione di vita. Dodici mesi fa Jannik Sinner era uscito malconcio da una sconfitta al quinto set contro Zverev negli ottavi, e l'aveva presa col broncio di un ragazzo che giudica la normalità un'ingiustizia. Nella vita si vince e si perde, nel tennis si perde un po' di più, ed il segreto è appunto saper accettare di essere imperfetti. Jannik non ci riusciva, ha fatto della sua rabbia la forza per tornare più forte, ha infilato la finale alle Atp Finals, il trionfo in Davis, ha messo il tarlo nella testa del più forte di tutti, e quando Novak Djokovic ha capito che c'era qualcuno pronto a metterlo da parte, ha dato il colpo finale a tutti gli altri: lo Slam, l'Australia. Tutto perfetto, troppo. Ed infatti...
I mesi seguenti Jannik ha scoperto il lato oscuro del tennis, non tanto (o non solo) l'incidente con il Clostebol, ma quello che poi è seguito: l'ansia da domare, la testa divisa in due, l'incredibile sforzo di far finta che nulla fosse accaduto. Ci è riuscito, apparentemente, continuando a vincere, l'anestetico alla paura che tutto potesse finire in un attimo, e così ha dimostrato la sua incredibilità. Ma quando poi la notizia è uscita ha toccato con mano l'invidia di chi fino al giorno prima gli lisciava il pelo, di coloro che pensavano che fosse troppo perfetto per essere vero. E a quel punto...
«Ho dovuto chiudermi in me stesso, lasciare fuori le persone per ritrovarmi. La mia famiglia, il mio team: devo ringraziare chi mi è stato vicino. E ora so che questo non avviene solo nel tennis, ma anche in altri sport e in altri lavori. Non ci si può far nulla. È per questo che devi avere persone vicine, coloro che sanno davvero cosa succede e, in questo caso, cosa stava accadendo al mio team. Perché quello che ho vissuto non è una cosa che riguarda solo me». C'è vita là fuori, Jannik. C'è un sorriso da ritrovare, c'è una zia che sta male, c'è una fidanzata da baciare, ci sono dolore ed estasi, ci sono cose che fino a poco tempo fa il ragazzo Jannik teneva solo per sé e che invece adesso l'uomo Sinner ha deciso di far conoscere a tutti, perché poi anche vincere un UsOpen, anche essere il numero uno del mondo, non cambia l'essenza delle cose.
«La perfezione non esiste, per questo le matite hanno le gomme»: chi ha inventato questa frase non giocava a tennis, ma aveva capito come scorre l'esistenza. Anche Jannik Sinner, ora che è diventato adulto (e ha festeggiato la vittoria con un hamburger), sa di aver vinto la partita più importante, sa come si può cancellare il momento per riscrivere una storia: «Devo continuare a lavorare: nella mia testa so di non essere perfetto e non lo sarò mai, ma cerco sempre di migliorare.
In modo che dopo, al termine della mia carriera, potrò dire di aver fatto tutto il possibile per essere al 100%». Scoprirà, alla fine, di aver fatto anche tutto il possibile per essere un uomo. Scoprirà che la perfezione esiste, anche se non sarà mai perfetta.
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