Tanto per aggiornare la contabilità: l'Italia della bicicletta si avvia mestamente a celebrare i cinque anni di digiuno nelle grandi corse in linea. Una quaresima che non finisce mai, una passione senza nessuna resurrezione. Che il Cielo mi perdoni la blasfema metafora, ma la ricorrenza si adatta alle perfezione: domani sarà Pasqua per tutti, difficilissimamente lo sarà per il ciclismo azzurro. E' pur vero che si corre il Giro delle Fiandre, la mitologica corsa del pavé mignon, a cubetti piccoli, e che dunque ci sarebbe la possibilità anche per noi di interrompere il digiuno e tornare a far festa. Ma è meglio essere realisti, è meglio non nascondersi la triste verità, perché almeno non ci saranno choc e delusioni: domani è più facile fare un governo che vincere la superclassica fiamminga. Per dire le aspettative.
Purtroppo, aprendo il romantico ciclo delle classiche nordiche, che proseguirà poi con la Freccia, la Roubaix, la Liegi e mettiamoci pure la più recente Amstel, proprio nel momento stagionale in cui una volta ci facevamo l'acquolina per qualche immancabile trionfo dei nostri eroi, in questo preciso momento ci ritroviamo ancora al punto esatto delle ultime annate: più o meno nella veste degli osservatori, perfetti testimonial dello spirito di Decoubertin, l'importante è partecipare
La nostra crisi è pesante, lunga, sofferta. L'ultimo a vincere una corsa vera resta Cunego, in quel Lombardia del 2008 che ormai è da lapide agli angoli delle vie. Poi qualche buon piazzamento, soprattutto la Liegi dell'anno scorso sfiorata da Nibali, ma niente di più. E purtroppo non c'è niente e nessuno che possa indurci a pensare meglio. Domani siamo ancora aggrappati a Pozzato, che da queste parti fa quasi sempre bene senza fare mai un capolavoro. E poi c'è il più giovane Oss, che nessuno nomina mai, ma che sui terreni da battaglia tira fuori personalità vera. Più in generale, aspettiamo in prospettiva i Moser (nipote di), gli Ulissi, con i Nibali e i Cunego sempre possibili nella più adatta Liegi-Bastogne-Liegi.
Ma non è moltissimo, diciamolo apertamente. La vera verità è che questo ciclo si profila come un grande duello a mani nude tra due colossi del genere: il collaudato TGV Cancellara e il baby-fenomeno Sagan. Divisi da un sincero e dichiarato astio reciproco, che nessuno dei due finge di mascherare, rappresentano attualmente il meglio dello spettacolo in linea. Già a Sanremo si sono presi a portellate, in un folle gioco di dispetti e ripicche che alla fine ha premiato Ciolek. Ma è solo un risultato di puro autolesionismo. Difatti, nelle corse a seguire i due hanno ripreso saldamente nelle proprie mani il dominio del gruppo e hanno lasciato agli altri solo i posti in ultima fila.
Sagan ha stravinto, con impennata, la Gand-Wevelgem. Domani, in una corsa molto più dura, quale innegabilmente è il Fiandre, il nuovo Merckx - come già lo definiscono, dimenticando che il vecchio dominava anche le corse a tappe - è atteso alla consacrazione solenne, sapendo benissimo che sul terreno feroce dei muri e del pavé Cancellara non sarà malleabile come a Sanremo. E poi c'è Boonen, e poi c'è questo Chevanel che sta andando come un matto da inizio stagione (domani mancherà solo Gilbert, il campione del mondo che sta già pagando la maledizione della maglia iridata con una pesante costipazione, nella speranza di smaltirla in tempo per la Liegi e l'Amstel, le sue peferite).
Ma al di là delle singole eccezioni, l'intero ciclo che occupa aprile e conduce al Giro d'Italia sarà legato da un chiarissimo fil-rouge: Cancellara contro Sagan, Sagan contro Cancellara, in una lotta continua (se si eccettua la Roubaix, che al giovanissimo i tecnici hanno vietato in via prudenziale), per tirare le somme alla fine e stabilire l'attesa verità, se sia sempre in piena salute il vecchio che avanza o se invece non sia ormai il tempo del nuovo che sopravanza. L'ipotesi più fondata? Questo Sagan ha solo 23 anni e appare all'inizio di una lunga storia epica. Un segno del destino: la grande saga l'ha già scritta nel cognome.
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