L'urlo tricolore a Wembley. "Tiki taka? Noi siamo diversi"

Contro il possesso palla della Spagna, Mancini si tiene stretto il suo gioco: "Immobile? È la Scarpa d'oro..."

L'urlo tricolore a Wembley. "Tiki taka? Noi siamo diversi"

Per spiegare Italia-Spagna bisogna partire da una frase qualunque di quelle spese da Roberto Mancini, ieri a Londra, dove la nazionale è stata accolta da un plotone di tifosi eccitati. «Il tiqui taka lo lasciamo a loro, noi siamo l'Italia» è la sua dichiarazione che non può e non deve sembrare una resa rispetto al recente passato ma solo l'orgogliosa sottolineatura delle caratteristiche del calcio azzurro. Che ha nel suo centrocampo il diamante luccicante, l'espressione plastica di un gioco che ha conquistato tutti, antichi censori e nuovi critici. La spiegazione è persino elementare: la Spagna ha fin qui dominato la classifica del possesso palla con il suo 73% che può essere tutto e niente, può far accendere una spia tra i componenti dello staff azzurro oppure lasciare di stucco gli statistici («Rischiano di farci addormentare», la battuta di Fabio Capello. Ecco allora il primo avviso ai naviganti di questa sera: non bisognerà meravigliarsi se anche a Wembley la Spagna terrà palla nella propria metà campo e avanzerà lentamente perché questo è il marchio di fabbrica. Invece di esondare come è puntualmente accaduto contro il Belgio, la Nazionale dovrà puntare più sul posizionamento, intasando gli spazi vitali e tenere in 25-30 metri al massimo il gruppo per prendere gli spagnoli alle spalle.

C'è un solo tabù da esorcizzare in campo azzurro: è quel numerino (32 risultati utili consecutivi della Nazionale di Mancini) che luccica dall'inizio di questo splendido europeo. La Spagna invece è un libro aperto. Fin qui è stata tutto e il suo contrario durante il girone e nei passaggi successivi perché è partita lenta, due pareggi, e con la Croazia dopo averla messa sotto (3 a 1), ha rischiato di farsi risucchiare e addirittura di finire fuori dal torneo. Perciò l'Italia deve trovare, come ha spiegato bene il suo ct, «fonte d'ispirazione» dai colleghi del basket che hanno conquistato a Belgrado, contro la Serbia, il pass per Tokio. Bisogna essere sul pezzo da cima a fondo, dall'inizio alla fine, perché la Spagna si concederà qualche amnesia. Basta raffrontare le cifre dei gol per intuirlo: 5 subiti contro i 2 di Donnarumma (di cui uno su rigore). Ne hanno realizzato solo uno di più (12 contro 11), a dimostrazione che la famosa cooperativa azzurra del gol non ha un bisogno diabolico di un bomber di razza per marcare le distanze dal rivale. E dev'essere per questo preciso motivo che partendo dalle aspre critiche finite sulla testa di Immobile che il ct ha provato a difenderlo ricordando che «si tratta sempre della Scarpa d'oro».

Più che Immobile, il peso e la responsabilità selettiva delle giocate decisive, ricadrà inevitabilmente su Insigne da una parte e Chiesa dall'altra. Perché rubare palla sulla tre-quarti, come avvenuto in occasione del primo gol al Belgio, è lo schema previsto dallo svolgimento tattico del giorno prima. Può risultare diversa anche la strategia del ct. Con il Belgio ha puntellato la squadra dal punto di vista fisico (con Cristante) perché il rivale continuava a utilizzare le sue torri nel tentativo di sorprendere Donnarumma e soci. Con la Spagna può servire più Pessina e o Berardi.

C'è un'ultima riflessione da fare e riguarda il tipo di marcatura sui calci piazzati. In questo europeo è diventato quasi inevitabile farlo a zona perché i contatti uomo su uomo possono sono diventati materia ossessiva del var.

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