Lyles, tra la depressione e la follia di un numero uno

I problemi fisici e di psiche: è il vincitore dei 100 metri con quel suo stile un po' rap

Lyles, tra la depressione e la follia di un numero uno
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Parigi - Estemporaneo, sempre un po' sopra le righe, ipercinetico al limite del maniacale. Folleggiante a modo suo. Un po' rap e un po' stilista. E quella voglia da ragazzino, la voglia di farsi notare non lo ha mai abbandonato. Forse serve un pizzico di follia per diventare un numero uno.

Noah Lyles le ha provate tutte. Solare oggi, ma preso da mille diavoli nella storia giovanile: fino a sei anni una grave forma di asma gli impediva di tener vicino peluche e orsacchiotti. Noah ha conosciuto la bestia che ti abbranca i polmoni: una tosse che costringeva la mamma a tenerlo a casa da scuola. Per farlo dormire lo sosteneva in posizione seduta sul letto. Dicevano che il tossire somigliasse al latrato di un cane. La mamma, pure dopo il divorzio, è sempre stata un riferimento di vita, insieme al fratello.

A scuola non gli andò meglio quando si ritrovò inseguito dal bullismo: proprio lui che sarebbe diventato uno degli uomini più veloci del mondo. Dislessico e affetto da deficit di attenzione, veniva deriso per i denti ingialliti a causa delle cure per l'asma. La vita non gli ha negato nulla: oggi nel bene, fino a qualche anno fa il conto non tornava. La depressione si era fatta largo nella testa di un ragazzo che ha sempre creduto di diventare un campione. Ma qualche volta la sete di successo può far male. Tutto cominciò al liceo. Noah ci mise del suo per combatterla. Sfida accettata ma non vinta. Dovette arrendersi alle cure. Prima di Tokyo provò con dei farmaci. Il sollievo fu immediato, poi dolori al ginocchio lo ricacciarono nei meandri bui della psiche. Aveva le Olimpiadi di Tokyo nella testa, quello stress non andava bene. Voleva vincere i 200 m., dimostrare di essere l'uomo più veloce del mondo: finì con un bronzo. Ne uscì distrutto. Eppure aveva già vinto un oro mondiale, altri ne avrebbe conquistato in seguito. A 19 anni aveva corso i 200 m.

in 1950, che allora significava essere il quarto atleta più veloce della storia dopo Bolt, Blake e Michael Johnson. Non gli bastava. Vincerà altri titoli, rosicchierà altri secondi al suo tempo sui 200 metri. Ma oggi è campione olimpico.

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