Nostro inviato a Montpellier
In un mondo sempre più piccolo e sempre più integrato, la questione oriundi nel calcio resta di attualità. E ora che l'italobrasiliano Eder ha segnato la centesima rete in azzurro della colonia di stranieri naturalizzati (46 di cui la metà argentini con 351 presenze in totale), si è riaperto il dibattito sull'opportunità di continuare a convocare gli acquisiti. L'anno scorso Roberto Mancini disse che solo i nostri connazionali, o quanto meno calciatori di genitori stranieri ma nati nel nostro paese, potevano vestire la maglia dell'Italia. «Io sarò sempre un oriundo e basta, tanto c'è chi sarà contrario e chi favorevole», così Eder dopo il gol alla Svezia che ha qualificato gli azzurri agli ottavi. È proprio il giocatore dell'Inter l'ultimo esempio della legione straniera arruolata per il bene dell'azzurro, con Antonio Conte costretto ad attingere dai naturalizzati per penuria di convocabili italiani.
Meno della metà delle reti realizzate dagli oriundi (48) sono state decisive. La prima in assoluto fu quella dello svizzero Ermanno Aedi nella tripletta rifilata alla Francia nel 1920. Invece il record è dell'argentino Julio Libonatti, azzurro nella notte dei tempi - tra il 1926 e il 1932 - con 15 gol, di cui 12 capaci di regalare un risultato positivo agli azzurri. All'epoca però era agli albori la Coppa Rimet (nella prima edizione in Uruguay del 1930 l'Italia non era nemmeno iscritta) ed esisteva la sola Coppa Internazionale, ormai defunta. Fu lui ad aprire i fasti dei naturalizzati provenienti dall'Argentina: nel 1934 furono decisivi Luis Monti e Raimundo Orsi, colonne della squadra di Vittorio Pozzo che vinse il primo Mondiale e nella finale di Roma c'era anche il connazionale Guaita. Quattro anni dopo un altro titolo in Francia ma un solo oriundo, uruguaiano (Michele Andreolo del Bologna).
Il discorso proseguì con minore fortuna nel dopoguerra, complici le fatiche del calcio italiano. Nel 1962 in Cile alcuni articoli di stampa critici ci attirarono l'odio di una nazione, che tra l'altro non vedeva di buon occhio la presenza di oriundi nella nostra rappresentativa, per di più argentini (Maschio e Sivori). Famosa la battaglia di Santiago nella quale l'Italia, in un clima ostile, fu battuta dai padroni di casa favoriti anche dall'arbitro Aston con lo stesso Maschio colpito da un pugno da Sanchez e rimasto stoicamente in campo. Dopo la disfatta del 1966, l'utilizzo degli oriundi riprende nel terzo millennio, anche perché negli anni '80 le frontiere in Italia restano chiuse per un po'.
Marcello Lippi vince il Mondiale di Germania nel 2006 anche grazie a Mauro Camoranesi, argentino della Juventus. Camoranesi resta tuttora il naturalizzato con più presenze (55 e ben 5 gol segnati). Da allora le porte si sono di nuovo allargate con la gestione Prandelli: Amauri, Ledesma, Osvaldo e Paletta.
Poi Thiago Motta, ripescato da Conte dopo il tragico mondiale del 2014 (ma un ottimo europeo nel 2012). E infine Vazquez, Jorginho e l'Eder eroe di Tolosa. Un gol dal sapore di rivincita dopo essere stato disintegrato dalle critiche. Quelle che accompagneranno sempre gli oriundi del pallone.
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