Definirlo l'uomo dei record è fin troppo banale. E battezzarlo come il primo coach ad aver esordito su una panchina Nba con passaporto non nord americano lascia il tempo che trova. Almeno stando al suo personale punto di vista. Perché Ettore Messina non si scompone. Complimenti e primati non contano per lui. Preso al volo nel mezzo di un corridoio che porta all'uscita di una delle tante arene Nba, prova piuttosto a raccontare la sua nuova avventura in maglia Spurs. «È al tempo stesso una grande soddisfazione e un'enorme responsabilità...». Segue una breve pausa: «A cui però ero pronto».
Che effetto fa collaborare e far parte del sistema Spurs: quello che esprime una delle pallacanestro più efficaci e vincenti al mondo?
«È un'esperienza professionale sicuramente unica. Quando mi hanno chiesto se ero disposto a partecipare, non ci ho pensato su due volte. E così, come in ogni squadra e gruppo vincente che scrive la storia dello sport, ho avuto la possibilitá di capire e scoprire i segreti che fanno grande questo sistema».
E dunque che cosa c'è di diverso rispetto, per esempio, alla precedente parentesi con i Los Angeles Lakers?
«A Los Angeles ero un consulente dietro le quinte, qui sono a tutti gli effetti un assistente. Ho un ruolo ben preciso, sono tra le altre cose il più anziano degli assistenti e Popovich mi ha affidato questo incarico che prevede, tra le altre cose, anche le conduzioni delle partite in caso lui non fosse disponibile».
Popovich è il cuore, l'anima e la mente di questo gruppo, sicuramente un personaggio che ha scritto la storia di questo sport: che tipo è?
«Un grande appassionato di pallacanestro che anche di fronte all'evidenza cerca sempre e solo la motivazione giusta per migliorare. Ha un rapporto molto particolare con ogni giocatore di questo gruppo e fa in modo che ognuno sappia cosa fare. È un perfezionista. Da questi dettagli capisci i motivi per i quali tutti lo considerano un guru».
Ed Ettore Messina che contributo porta a questo sistema perfetto?
«Lo stesso di tutti gli altri assistenti: il nostro ruolo è quello di discutere il modello di basket che eseguiamo al fine di migliorarlo e trovare delle possibili alternative in grado di creare una critica costruttiva al sistema. Il gioco in America, comparato a quello in Europa, è completamente diverso: è fatto di nuovi dettagli che fanno la differenza».
Dopo aver dominato in lungo e in largo in Italia e in Europa, lei e Manu Ginobili avete scelte due percorsi diversi: lui è andato in America, lei è rimasto a vincere in Europa. Che effetto fa ritrovarlo come giocatore?
«Incredibile. Per tutta una serie di emozioni che ci hanno unito negli anni. Ed è fantastico pensare che dopo tanto tempo le nostre carriere si siano di nuovo incrociate. Provo un piacere enorme a condividere un'altra stagione con lui».
Su Marco Belinelli che cosa dice?
«Un grande lavoratore, un super appassionato della pallacanestro che ha saputo rimanere concentrato su ciò che realmente conta anche quando gli eventi non giravano dalla sua parte. E poi che altro dire vista la fantastica carriera che sta facendo? Forse solo che, come nel caso di Ginobili, è splendido far parte dello stesso gruppo. Campioni del loro livello si commentano da soli».
In dicembre con la stagione Nba appena cominciata è difficile parlare di futuro. Ma che cosa dobbiamo aspettarci da uno come lei? Tornerà in Europa o diventerà capo allenatore in America?
«In questo momento non sono assolutamente in grado di rispondere a questa domanda. Come ho sempre fatto nella mia carriera, terminata un'esperienza arriva il momento di valutarne un'altra. Quindi per ora sto bene dove sono».
Quanto è difficile
far vincere agli Spurs un altro anello?«In pochi sono riusciti a ripetersi due anni di fila ma questo è un gruppo molto esperto che si è già trovato in simili situazioni. E spesso l'esperienza fa la differenza».
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