"Mi salva papà". Quella spugna gettata sul ring con il cuore

L'immagine recente di un pugile che gira le spalle all'avversario e comincia a tirare colpi nel vuoto è rimasta negli occhi di tanti

"Mi salva papà". Quella spugna gettata sul ring con il cuore

L'immagine recente di un pugile che gira le spalle all'avversario e comincia a tirare colpi nel vuoto è rimasta negli occhi di tanti. Soprattutto perché quel ragazzo, si chiamava Simiso Buthelezi, poi è finito in coma ed è morto. Le morti sul ring sono l'atto tragico di una professione pericolosa. Ed è difficile dimenticarle. A tanto deve aver pensato il papà di Fabio Turchi l'altra sera, sul quadrato di Wembley per una semifinale mondiale dei massimi leggeri, quando il figliolo colpito dai pugni di Richard Riakporhe è finito a terra nel 2° round, si è rialzato, ha atteso il conteggio e stava per riprendere il match se Leonardo, appunto il papà, fra l'altro ex pugile, non fosse piombato in mezzo alle corde con l'asciugamano della resa fra le mani. Un atto tipico dei secondi di un boxeur quando l'arbitro ha un'altra visione: tocca a loro vegliare sulla salute e sulla capacità di intendere e volere del ragazzo che combatte. Poi si può discutere se il pugile poteva continuare o meno, se il colpo dell'altro fosse devastante o meno. L'occhio del padre ha detto: stop. Turchi, fino allora, era stato timido contro un avversario sornione ma dai colpi elettrici come dice il record. Non sempre i padri-tecnici fanno il bene dei figli (o figlie): troppo coinvolti o addirittura troppo preponderanti nella gestione. Ma nella boxe c'è qualcosa di diverso: i figli rischiano la vita più di altri. Un figlio può sbagliare una corsa, un salto, un tiro in porta, uno smash, un canestro.

Nella boxe può subire un colpo fatale: c'è una bella differenza. Abbiamo visto tanti asciugamani lanciati sul ring, il padre di Turchi ha lanciato il cuore più dell'asciugamano. Come non capirlo. Da Mi manda papà a Mi salva papà, il passo è breve.

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