
È la corsa più facile: da perdere. La Sanremo è così, un monumento che generalmente premia i più grandi, che Eddy Merckx vinse la bellezza di sette volte, ma che molti corridori, da Bernard Hinault a Moreno Argentin per fare solo due nomi, non hanno mai vinto. E corridori del calibro di Moser o Saronni, ma perfino Cipollini hanno dovuto patire le pene dell'inferno per vincerla almeno una volta nella loro carriera.
Tadej Pogacar è tra quelli che sentono che questa corsa ha qualcosa di sinistro. Troppo facile per un corridore che rendere semplice il difficile. Troppo aperta per chiuderla come vorrebbe lui. Troppo veloce, molto lunga ma con pochi metri di dislivello. Il Poggio non è il Mortirolo, ma nemmeno il San Fermo della Battaglia. Non è un caso che lo scorso settembre, intervenendo come ospite al podcast del dottor Peter Attia, abbia detto: «Ho la sensazione che possa diventare la mia maledizione. Ci sono andato vicino a vincerla eppure la sento così lontana...».
Partecipare per quattro volte a una corsa e non vincerla mai.
«Sa che è una regola dello sport: gli atleti raccolgono più sconfitte delle vittorie. Questo valeva anche per Eddy Merckx».
Sente che la Sanremo può diventare davvero una maledizione?
«Sento che ho la giusta determinazione per inseguire anche questo traguardo. Sento che è una sfida e io corro per questo».
Tra le sfide c'è anche la Roubaix: una corsa che non ha per il momento mai disputato.
«Ho fatto qualche settimana fa una bella ricognizione del percorso, ho assaggiato il fondo stradale della Foresta di Arenberg; è una corsa affascinante, che mi stimola, che mi invoglia, che sento possa essere alla mia portata, ma chiaramente dobbiamo valutare. Non è un mistero che il mio Team principal Mauro Gianetti non è convintissimo, io un po' di più. È una sfida che mi piacerebbe fare, pur sapendo che è una corsa non solo dura, ma pericolosa e io durante l'anno ho davanti a me tanti appuntamenti importanti, ad incominciare dal Tour».
La Sanremo l'ha scoperta nel 2020, un'edizione estiva a causa del Covid chiusa con un 12° posto.
«Corremmo ad agosto (l'8, ndc), con un gran caldo. Corsa lunghissima, di 305 km , 7 ore e un quarto di corsa con la vittoria di Wout Van Aert. Per me fu un viaggio verso la conoscenza».
Adesso, dopo un quinto, un quarto e un terzo, cosa ha capito?
«Che è dura. Che basta poco per perderla, spero che manchi poco per vincerla».
Si dice che in questi mesi lei abbia provato e riprovato Cipressa e Poggio.
«È chiaro che una corsa così aperta, che si perde anche per un solo dettaglio, ha bisogno di studio e applicazione. Anche se sono convinto di una cosa».
Cosa?
«Che per vincerla occorre anche tanta buona sorte».
Forse ci sarà brutto tempo.
«Sulla carta non mi dispiacerebbe affatto. In ogni caso avrò al mio fianco una grande squadra, con Tim Wellens e Nils Politt, Jhonatan Narvaez e Domen Novac, Vegard Stake Laegen e Isaac Del Toro».
Un paio di mesi fa Tim Wellens ha detto che la Cipressa potreste risalirla in meno di 9' (il record è 9'19 di Gabriele Colombo, nel 1996, Pogacar ha fatto 9'35 l'anno scorso, ndr).
«L'avrà detto come boutade: tra il dire e il fare».
Quando pensa di esserci arrivato più vicino?
«L'anno scorso. Avevo una grande condizione, ma più del podio non potevo fare».
Quest'anno, in Via Roma, ci sarà anche Urska (Zigart, ndc), la sua fidanzata, che poco prima correrà con la maglia della AG Insurance, la Sanremo femminile.
«Spero che entrambi, alla sera, si abbia qualcosa di bello da festeggiare».
Che sensazione ha: la Sanremo la sente davvero così lontana?
«Direi di no. E lo sa perché? Ci sono arrivato troppe volte vicino».
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MILANO-TORINO Ha vinto il messicano Del Toro, 2° Tulett (Gb), 3° Johannessen (Nor). Primo italiano Fortunato, 8°.
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