Il patto tedesco

Niente dimissioni dopo la vergogna Svizzera, ma Spalletti è chiamato a dare una svolta entro novembre. "Si riparte da zero con i giovani"

Il patto tedesco
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La giacca ufficiale di Luciano Spalletti è l'unico tocco di colore. Per il resto giacche nere dal presidente Gravina in giù e il total black di Gigi Buffon. Non serviva l'armocromista per vestire l'umore della Nazionale. Il cielo di Berlino e della Germania non è azzurro come diciotto anni fa. Il risveglio dopo la vergognosa eliminazione con la Svizzera è tra lampi, tuoni e fulmini. La notte si dice porti consiglio e nell'hotel di Iserlohn ha partorito quello che coraggiosamente si può definire «patto». Niente dimissioni, il progetto che deve portare al Mondiale 2006 va avanti. Con Spalletti che però per sua stessa ammissione deve «ripartire da zero». Non ha avuto tempo di costruire tra qualificazione e rincorsa all'Europeo.

Ora c'è la Nations League fino a novembre. Una sorta di punto tecnico. Non è una fiducia a tempo, ma sul ct c'è un forte vento contrario e lui stesso ammette: «Non sono stato il miglior Spalletti possibile». Servono risposte, lui è convinto di poter fare il ct e non solo l'allenatore di club: «Con questo vestito mi trovo bene. Ma devo imparare velocemente cose nuove». E non a caso fa l'esempio nella gestione quotidiana di un giocatore: «Un giorno ci parli, l'altro gli dai una pacca...». Poi si fa fatica a seguirlo quando rivela a proposito dei rigori: «Nella riunione ho chiesto a tutti chi se la sentisse di tirarli. Alcuni hanno alzato la mano, altri no». Come a dire che è anche una questione di personalità. Pensare ai rigori è giusto, farlo il giorno della partita può essere un messaggio sbagliato. E poi chi li tira lo decide il ct e solo davanti a un no personale, non in seduta comune, si decide diversamente.

L'Italia è tornata indietro a 50 anni fa, al primo Mondiale tedesco, concluso con una disfatta come questo Europeo. Allora la squadra era a fine ciclo, adesso si doveva aprire un nuovo corso. Spalletti ci ha provato: «Siamo la penultima nazionale per presenze dei giocatori a questa manifestazione. E tra le più giovani in assoluto». La strada è tracciata, ma non basta. Bisogna andarli a cercare con il lanternino i talenti. Prendere Kayode. Ha vinto con le nazionali giovanili, nato come ala ora fa il terzino. Gli allenatori inaridiscono il nostro calcio, non c'è fantasia. Succede dalle giovanili. Non si insegna a dribblare, ma la tattica. Il talento viene ingabbiato. Così fare dei nomi diventa difficile: Fabbian dentro e fuori nel Bologna dove giocano gli svizzeri (!) Aebischer e Freuler; Baldanzi visto poco a Roma; Casadei disperso in Inghilterra; Prati del Cagliari; Hasa della Juve Next Gen. Le Under azzurre vincono, ma i pari età stranieri giocano già con i grandi. Vedi Yamal. Di questa Nazionale tolti gli interisti, restano una manciata di comprimari nei grandi club.

E qui si devono chiamare in causa i giocatori. Spalletti dice: «Difficile ritrovare i Bonucci e Chiellini. Però Calafiori dimostra che ci sono potenzialità attraverso il gioco». La serata di Berlino ha sollevato più di un dubbio sull'unità del gruppo squadra, vista la confusione e lo smarrimento in campo. A chi parla di tensione, la narrazione vuole la sala giochi sempre piena, «una bella atmosfera». E però una prestazione del genere diventa inspiegabile, condizione fisica a parte: non ci hanno messo nemmeno il carattere.

Chiesa e Scamacca così non servono alla causa. Spalletti ha ammesso: «Con Spagna e Croazia almeno c'era stata una reazione. Non ho visto rabbia. Se la risposta è questa, devo fare qualcosa di diverso». La sintesi è dell'Equipe: «Il niente azzurro».

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