Paolo Di Canio e i tatuaggi con la scritta "Dux", i saluti romani sotto la Nord, le interviste in cui difende Mussolini. Sono passati quattro mesi da quando Sky ha deciso di chiudere il suo programma sul calcio inglese e di sospendere "Paoletto": sui social network era scoppiata la mina che avrebbe interrotto, almeno momentaneamente, la carriera da giornalista sportivo dell'ex attaccante della Lazio. Una foto postata sulla pagina Facebook di Sky lasciò intravedere un tatuaggio con la scritta "Dux" e all'improvviso tutti si ricordarono che Di Canio è stato fascista.
"Non me l'aspettavo - dice oggi Di Canio in una intervista al Corriere - Sono un'altra persona. Non ho fatto nulla. Era ancora estate, indossavo una polo. C’è da girare un video per il web. Se fossi stato in giacca e cravatta non sarebbe successo. Così va la vita: a causa di qualcosa ormai lontano nel tempo ho perso un lavoro che facevo con entusiasmo". La reazione alla notizia della sospensione del suo programma lo colpì nella stanza d'albergo di Milano dove attendeva la presentazione del palinsesto Sky. "Ci sono rimasto non male, peggio. Ho urlato. Non so neppure cosa sono i social network. Orgoglio ferito. Mi sono sentito un appestato. Avrei voluto reagire d’istinto".
Perché Di Canio non si sente più il Di Canio della gioventù. "Ormai ho quasi cinquant’anni - ha detto - Ho imparato a mettermi dalla parte degli altri, a ragionare con loro. C’è tanta gente che ha ogni diritto a sentirsi ferita dall’esibizione, per quanto non voluta, di quei tatuaggi. E un’azienda importante come Sky ha diritto a non vedersi associata a una simbologia che non condivide. Ma non era stata una mia scelta. E ancora oggi ne pago le conseguenze". Non che rinneghi di essere stato quello che è stato. Ma "la gente cambia. Io sono cambiato, non da ieri".
C'è da dire che quando fece il saluto romano sotto la curva Nord della Lazio era solo il 2005. Per la precisione il 6 gennaio: si giocava il derby con la Roma e quel giorno "Paoletto" segnò un gol spettacolare cui fece seguire l'irriverente corsa verso la Sud, le dita alzate in cielo a sancire le tre reti con cui lui e la sua Lazio si erano imposte sui cugini, e quel saluto romano finale che fece il giro di tutto il mondo. "È la cosa di cui mi più mi pento nella mia carriera", dice oggi. Nel derby come nelle altre occasioni in cui ripetè lo stesso gesto a Torino, Livorno e Siena dove lo fece "Per provocare. Per rabbia. Era scoppiato il casino. Mi tiravano sassi dagli spalti. Sputi, cori con insulti terrificanti ai miei genitori. Le ho detto che sono pentito, non che nella mia vita sono stato un santo".
Più di una volta Di Canio si è definito fascista. E forse lo è pure stato. Anche oggi riconosce di essere stato "affascinato da Almirante", di aver "creduto nella destra sociale", di apprezzare "alcune cose farre bene" da Mussolini, di aver fatto il tatuaggio "Dux" perché "per me Mussolini rappresentava un’idea di società con regole, vere, che tutti rispettano. L’amore e l’orgoglio patrio. Cose che vorrei per il mio Paese e non vedo neppure oggi". Ideologie e ideologie figlie del suo tempo, di una giventù passata "al Quarticciolo, un quartiere da sempre rosso e romanista" e dell'ingresso nel gruppo degli ultrà "Irriducibili". "Quel che mi porto addosso è il simbolo di ciò che sono stato, di quel che ho fatto. Compresi gli errori".
Ma razzista no. Di Canio non si sente come è stato etichettato. "Se mi chiede delle leggi razziali, dell’antisemitismo, dell’appoggio al nazismo, quelle sono cose che mi fanno ribrezzo", dice parlando del fascismo.
"Spero che mi venga data una possibilità - conclude - Far capire chi sono davvero, pregi e difetti, comunque ormai lontano da quelle foto con il braccio teso. Penso per primi ai reduci dai campi di concentramento che una volta ho incontrato in Campidoglio. E poi ai giovani che portano avanti le loro idee. Devono esserne fieri, purché rispettino quelle degli altri".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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