Nei giorni olimpici c'è un grande campione al quale non mancano mai obiettivi da raggiungere, vista la sua perfettissima mira: Niccolò Campriani. L'ingegnere di Firenze, dopo tre ori e un argento olimpici, ha iniziato una carriera altrettanto prestigiosa: prima al Cio, poi seguendo la squadra di rifugiati, quindi da direttore sport dei Giochi di Los Angeles 2028 e unico straniero nel comitato organizzatore. «Il tiro a segno ha rappresentato una parte importante della mia vita - racconta Campriani -. Lo sport mi ha permesso di conoscere e girare il mondo, arrivare negli Stati Uniti con una borsa di studio. Devo tanto a quella fase della mia vita. Provo affetto, più che nostalgia».
Niccolò, sabato proprio nella gara mista della sua carabina scatteranno le prime Olimpiadi della parità.
«Sì, da quest'anno ci sarà lo stesso numero di carte olimpiche: 5250 donne e 5250 uomini. Il programma gare l'abbiamo definito insieme alla Olympic Programme Commission quando ero al Cio. Non è stato un esercizio facile, perché di fatto era un gioco a somma zero: significava portare più donne e significava portare meno uomini rispetto alle edizioni precedenti».
Il tiro si presta di più alle prove miste.
«È uno sport unico, dove uomini e donne possono sfidarsi l'uno contro l'altra. Lo dicono le analisi dei punteggi. Per tanti anni il record del mondo femminile era migliore di quello maschile e lo so bene perché quello maschile era il mio!» (ride, ndr).
Cosa farà a Parigi?
«Sarò coinvolto in più ruoli: da un lato rappresenterò Los Angeles e dall'altro sarò l'allenatore di Luna Solomon, una tiratrice del team dei rifugiati fuggita dall'Eritrea, che ho allenato per Tokyo e che è stata selezionata anche per Parigi».
Un'esperienza vissuta già a Tokyo.
«Con questa delegazione il Cio, nonostante il suo voler essere apolitico, vuole dare un messaggio forte. Perché le storie di questi ragazzi sono storie di speranza, libertà e inclusione, e per certi versi raccontano il mondo che vogliamo creare. Con Luna e con Mahdi Yovari, afghano, ho condiviso un percorso di vita intenso insieme. Un bel modo per trovare un senso più profondo a una carriera lunga 16 anni, un bel modo per me di restituire qualcosa. Una goccia nell'oceano che può avere un impatto importante sulla vita di due ragazzi. Se ognuno fa il suo, possiamo veramente fare la differenza».
Il team dei rifugiati è il segnale che le guerre non cessano?
«C'erano 29 atleti a Tokyo, saranno 37 a Parigi. La crisi non sta diminuendo, proprio per quanto succede nel mondo. Per la prima volta, nella squadra ci sono due atleti che vivono in Italia. Io avevo l'ossessione di quello che succedeva sul bersaglio a dieci metri e non vedevo il mondo attorno. Invece è importante avere un contatto con la realtà, quella vera, magari fa un po' meno piacere se la vedi sul giornale, ma sfogliare la pagina successiva è importante. Perché ci viviamo in questo mondo».
Uno dei suoi principali rivali era il russo Sergej Kamenskij. Condivide la scelta di far gareggiare i russi con lo status di neutrali?
«Sergej sta vivendo dalla Russia l'attesa dell'eventuale chiamata alla leva. Dal punto di vista prettamente sportivo, non avere alcuni tra i migliori atleti al mondo è un peccato. È già accaduto nei boicottaggi del 1980 e del 1984, e ha tolto qualcosa ai campioni olimpici di quelle edizioni. Uno dei criteri di eleggibilità del CIO ad atleti con passaporto russo o bielorusso era la non appartenenza a un corpo sportivo militare. Dopo l'Olimpiade, a bocce ferme, sarà un buon momento per fare una riflessione collettiva su ciò che lo sport vuole essere verso certe dinamiche politiche. Il Cio ha individuato comunque la scelta migliore, tra i tanti scenari è probabilmente l'opzione meno peggiore, ma dobbiamo avere il coraggio di guardare a opzioni alternative, non sostitutive, per il supporto economico agli atleti di élite, ora dipendenti dallo stipendio militare, prendendo ispirazione anche dal sistema sportivo universitario Usa, con l'obiettivo di integrare sempre più lo sport nel contesto della vita e della società».
Come vede quest'Italia da fuori?
«I talenti ci sono.
Speriamo di ripetere i grandi risultati di Tokyo. Ci sono sport vincenti come atletica e tennis, ma in generale bisogna rimboccarsi le maniche per crescere ancora. Anche io ho dato una mano alla federazione del mio sport».
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