Il Ragno Nero che stregò il Diavolo

Fabio Cudicini seve il soprannome all'agilità fra i pali e alla divisa scura. Con il Milan vinse tutto

Il Ragno Nero che stregò il Diavolo
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Fabio era malato da tempo. L'ultima volta che il Giornale lo aveva cercato, a fare muro - con il garbo e la gentilezza di sempre - era stata la moglie: «Fabio non sta tanto bene, ora riposa...». «Fabio» è - e sarà sempre - lui: il «Ragno nero». Cudicini. Quello che sulle figurine Panini era tutto vestito color tenebra i portieri della sua generazione non concedevano nulla alla pacchiana policromia che poi avrebbe imperversato sulle divise dei suoi colleghi delle generazioni successive. Unica concessione alla «stravaganza»: un colletto rosso sulla maglietta del «suo» Milan.

Fabio Cudicini si è spento ieri all'età di 89 anni. Un mito per tutti quelli che si sono cimentati come portieri, provando il brivido di ricoprire il ruolo più affascinante di una squadra di calcio. Quello che «se sbaglia lui», è gol; quello che «se lui para il rigore» ti regala la vittoria. Insomma il ruolo più bello del mondo. Il più importante, quello che ti riempie il petto di responsabilità. Quello che - anche se commetti un errore - non puoi demoralizzarti, altrimenti peggiori la situazione. Fabio Cudicini lo sapeva bene e per decenni ha insegnato ai giovani - oltre che i fondamentali tecnici del mestiere di «estremo difensore» - anche i segreti caratteriali come rimanere sempre freddo e impermeabile tanto ai complimenti quanto alle critiche. Un bilancio che nel caso della sua grande carriera è sempre stato a favore dei complimenti benché non siano mancate neppure le critiche.

Pur non essendo mai sceso in campo con la maglia della nazionale (nonostante alcune convocazioni), Cudicini si è distinto come uno dei migliori portieri della storia del calcio italiano, grazie ai tanti trionfi ottenuti col il Milan. Che ieri lo ha salutato con un post dal sapore poetico: «La tela del Ragno sul nostro Cuore rossonero. Per sempre. È scomparso Fabio Cudicini, campione di tutto con il Milan, grande portiere e grande persona. Le condoglianze di tutti i rossoneri al figlio Carlo, cresciuto nel Club, e a tutta la famiglia. Ciao Fabio». Parole dal romanticismo di altri tempi. Il profumo di un calcio che evoca la celebre poesia di Umberto Saba, non a caso dedicata alla solitudine del portiere. Fabio, padre di Carlo (anche lui portiere un grande portiere che si è fatto onore in Italia e all'estero), aveva difeso anche la porta di Roma, Udinese e Brescia. Ovunque ha lasciato ricordi commossi per qualità di uomo e bravura di atleta.

Nato a Trieste il 20 ottobre 1935 con i rossoneri ha vinto uno scudetto, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe e una Coppa Italia (un'altra l'ha vinta con la Roma con cui ha messo in bacheca anche una Coppa delle Fiere). Soprannominato «Pennellone» (era alto 191 cm) ha in seguito condiviso con Lev Jain il soprannome - ben più glorioso - di Ragno nero. E con l'immenso Jain , Cudicini non condivideva solo il rigore estetico della divisa ma soprattutto la medesima filosofia dell'essenzialità che li portava entrambi a rifuggire dai voli plateali considerandoli quasi concessioni da clown, mentre - loro - erano rigorosi nei movimenti, come frati trappisti nel chiuso di un convento solo definito da due pali e una traversa. Fabio era dotato naturalmente di grande senso della posizione: sicuro nelle uscite alte, coraggioso (ma mai spericolato) in quelle basse. Non si ricordano ammonizioni o espulsioni.

Fabio era un signore sia in campo, sia fuori. Nella stagione delle Coppe Internazionali le sue parate contro Celtic e Manchester United gli valsero da parte dei giornalisti inglesi il soprannome di Black Spider. Roba da super eroe.

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