L'offensiva a tutto spiano dei club britannici contro i social media, partita due giorni fa, aveva radici precedenti, già a metà febbraio. Quando cioé la Football Association, la Premier League ed altre entità avevano scritto una lettera aperta a Jack Dorsey e Mark Zuckerberg, a cui fanno capo rispettivamente Twitter e Facebook/Instagram, chiedendo loro di vigilare maggiormente, dopo un'ondata di insulti a giocatori e arbitri rsu quelle piattaforme. Facebook aveva reagito promettendo maggiori filtri ma la realtà non è cambiata: e nei giorni scorsi un altro fiume di insulti ha investito giocatori rei di errori o scarso rendimento sul campo, come Trent Alexander-Arnold e Naby Keità, protagonisti in negativo nella sconfitta del Liverpool contro il Real Madrid. Ma non solo: insulti a sfondo razziale anche all'ala della squadra femminile del Liverpool, Rinsola Babajide, e a tre giocatori dello Swansea City, seconda serie, ovvero Jamal Lowe, Yan Dhanda e Ben Cabango.
Per questo motivo, giocatori e staff del City, del Birmingham City, dei Rangers hanno deciso di astenersi dal pubblicare qualsiasi aggiornamento fino a giovedì 15 aprile. Mentre Jürgen Klopp, l'allenatore dei Reds, ha chiesto urgentemente a Twitter, Facebook e Instagram di filtrare e moderare i messaggi e il suo capitano Jordan Henderson, dopo aver meditato di abbandonare le varie piattaforme - come ha fatto la scorsa settimana Thierry Henry, turbato dalla valanga di insulti e critiche - ha affidato il proprio profilo ad una organizzazione che lotta contro il cyberbullismo, insomma intimidazioni e minacce online.
Servirà a qualcosa? Sul momento serve sicuramente a fare notizia e richiamare attenzione su un grosso problema, ma che accadrà sul lungo termine? Anche perché giocatori (soprattutto) e staff dalla costante presenza sui social media ottengono fortissimi benefici promozionali, e pecunia non olet non è un'espressione inventata ieri.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.