Alla vigilia delle Atp Finals Sinner da calendario: "Ma non mi sento Maestro"

Il campione altoatesino: "Quest'anno ho vinto tanto, però non sempre sono stato felice"

Alla vigilia delle Atp Finals Sinner da calendario: "Ma non mi sento Maestro"
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«Se sbagli, in fondo, non succede nulla di che. Non sono mica un dottore». È così che si costruisce un numero uno, tutto nelle parole di Jannik Sinner, nelle risposte di una semplicità disarmante: «Il mio mestiere è un privilegio: giocare in uno stadio pieno, far vedere sempre qualcosa di diverso al pubblico, provarci sempre». Benvenuti alle Atp Finals, insomma: Jannik è pronto.

Da uomo copertina a uomo calendario: la vigilia della finale delle finali è un tributo alla collaborazione con Lavazza, che anni fa pescò un ragazzino 140 del mondo scommettendo che sarebbe diventato un fenomeno: «Sono sincero: faccio fatica a ricordarmi le cose che sono successe». Ora il re del tennis è una delle star dell'edizione 2025, ed è passata un'era dall'unico torneo che Sinner ha vinto finora in Italia, quello delle Next Gen 2019: «Quella vittoria mi ha fatto capire tante cose». Il futuro è adesso.

Jannik freme sulla sedie delle interviste, e si capisce che questo lavoro sportivo non è ancora compiuto. Lo dice anche quando ti guarda sorridendo, cercando dentro di sé una risposta che non sia banale. Per esempio, sulla pressione: «C'è molta pressione su di me, ma è una cosa bella: è una sensazione che abbiamo tutti, nel lavoro e in famiglia. A volte può essere fastidiosa, per me è una cosa positiva. Anche se l'ossessione di competere non è sempre un bene: io la sento anche quando gioco a carte... Ma se sono arrivato fin qui è perché ho questa ossessione, che a volte mi porta a cambiare anche quando le cose stanno andando bene».

Per dire: quest'anno. I grandi successi, la grande paura. Cosa non abbiamo capito di te, Jannik? E cosa non hai capito tu di noi? «Io vi capisco molto bene... (e ride). Forse non è chiaro che non siamo macchine. Non è detto che se vinci un torneo stai sicuramente bene, o che se perdi al primo turno allora ti senti male. Per me quest'anno è stato difficile: ho vinto tanto, sono arrivato in cima, ma non è detto per forza che sia stato bene». È allora: etica. Lavoro anche, «perché voi dite che sono sempre educato, ma da giovane qualche volta la racchetta volava. Nella vita si impara dagli errori, dalle cose che si fanno. Sono cresciuto, la parte mentale è importante». E c'è la parte fisica, per cui non c'è mai limite: «Arrivare a certi traguardi è merito anche di chi lavora dietro le quinte. Avere un team che ti supporta è importante, io cerco sempre il confronto con tutti. Poi, certo, decido io...».

Così ecco Torino, il futuro: «E mi sento bene, anche se qualcosa da migliorare si trova sempre a 23 anni. Il servizio è ok, ma non è ancora come lo vorrei. E forse dovrò aggiungere ancora un pochino di muscoli, senza però rovinare l'equilibrio. Mi sento leggero, alzeremo il livello per arrivare pronti il primo giorno». Intanto c'è l'annuncio di una Fondazione a suo nome, «ma ne parlerò al momento giusto. Voglio aiutare chi è in difficoltà».

E c'è la storia di un ragazzo così straordinario da essere normale: «Il mio equilibrio mentale? Non è costruito, sono così. Le mie giornate in fondo non sono nulla di che». Chissà poi allora cosa avranno visto in quel numero 140 del mondo diventato un uomo calendario: «Forse solo uno a cui piace il caffè».

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