Dan Friedkin, sbirciava, dal posto di comando del suo Gulfstream, la folla dietro le recinzioni dell'aeroporto di Ciampino. Spenti i motori, si è alzato, ha indossato la giacca, ha ripreso gli occhiali da sole ma ha scelto di non presentarsi, per primo, alla scaletta. A differenza di molti colleghi suoi presidenti di club di football, ha evitato la vanagloria, l'esibizione tronfia del colpo di mercato, ha voluto invece concedere i primi coriandoli di gloria al nuovo re di Roma, Romelu Lukaku.
Job done, il lavoro era stato fatto, non altro. Dan e suo figlio Ryan sono rimasti a bordo fino a quando i fumogeni erano svaniti nel cielo cupo sopra Ciampino, quando il belga ha concluso la passerella davanti all'estasi giallorossa allora Dan è sceso in pista, ha stretto le mani per ringraziare, a distanza, i tifosi, ha alzato il pollice a significare la vittoria, ha regalato un sorriso aperto, molto americano, è svanito come il fumo giallorosso.
Nei giorni del volgare mercato saudita, l'uomo di San Diego, cresciuto a Houston, ha dato una lezione di stile e di rispetto, un epilogo sobrio di una trattativa imprevista e imprevedibile conclusasi con la stessa discrezione che accompagna i Friedkin, il loro cognome pare quasi il titolo di una serie televisiva, dal primo giorno del loro arrivo a Roma.
Non sono attori di Hollywood, non sono texani con il cappello da cow boys, non sventolano bigliettoni, non sfilano sul red carpet del football, non concedono interviste, non entrano in scena contro arbitri e sistema, sono silenziosi proprietari e non padroni di un club e di una squadra storiche, non sono stati contagiati e travolti dalla grande bruttezza della capitale e dal circo mediatico che la e li circonda, proprio per questa loro scelta discreta sono stati e sono oggetto di censure e rimproveri, i curvaioli vorrebbero sentire e vedere Dan Friedkin arruffapopolo come altri dirigenti del nostro meraviglioso calcio. Negativo, la storia non cambia, da domani si risale a bordo.
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