Il tesoro perduto: i Giochi della Gioventù, fabbrica di talenti

Fino al '96 giovani entro i 15 anni scoprivano lo sport. E molti diventavano campioni...

Il tesoro perduto: i Giochi della Gioventù, fabbrica di talenti

C'erano una volta i Giochi della Gioventù. Dal 1969 al 1996. Quelli autentici, dedicati al futuro dello sport e di intere generazioni grazie al connubio con il mondo scolastico. Una piccola Olimpiade nazionale per ragazzi e ragazze fino a 15 anni, senza obbligo di tesseramento federale e soltanto in possesso di documento d'identità e certificato d'idoneità. Una formidabile iniziativa per avvicinare intere generazioni al mondo dell'attività fisica e dell'agonismo, sbocciata durante il 29° Consiglio nazionale del Coni tenutosi il 3 settembre 1968. L'impulso decisivo arrivò da Giulio Onesti, presidente del Comitato olimpico nazionale per oltre un trentennio, al fine di «allargare in modo considerevole la base degli sportivi del nostro Paese e far conoscere la gioia e i vantaggi dello sport a coloro che ancora non lo hanno conosciuto». Dalle fasi locali si passava a quelle provinciali e infine alle nazionali, con il viaggio a Roma per tanti giovanissimi che si portavano dietro la stessa magia di chi per la prima volta partecipa ai Giochi Olimpici veri e propri.

La scoperta di un mondo nuovo. Lo ha raccontato anche Paolo Iannuccelli, ex coach, una vita spesa nel mondo della pallacanestro: «All'epoca ricordo che grazie ai Giochi della Gioventù nacquero tante società sportive in maniera spontanea. Nel 1973 ho avuto il piacere di guidare la squadra dell'Ab Latina in qualità di coach e arrivammo sino alle finali nazionali di Roma. Per tanti ragazzi era toccare il cielo come un dito, si sentivano bravi e importanti dopo aver superato fasi preliminari interminabili. E poi c'era la possibilità di giocare al Palazzetto dello sport di viale Tiziano, che rappresentava un vero sogno per tutti, dai grandi ai più piccoli».

Per la prima edizione del 29 giugno 1969, celebrata nella capitale, i numeri danno l'esatto riscontro della portata di un evento straordinario: 4118 giovani qualificati e 5509 comuni rappresentati, usciti da una base iniziale di quasi due milioni e mezzo di ragazzi partecipanti sin dalle fasi locali. Una valanga di entusiasmo dovuta anche alla puntuale organizzazione, in grado richiamare i grandi tornei internazionali e soprattutto le Olimpiadi. L'inaugurazione solenne infatti venne aperta dalla squadra di Agrigento e chiusa da quella di Viterbo, con il giuramento affidato a Paola Tofano, tredicenne campionessa sui 60 metri nella fase provinciale di Roma: «Promettiamo di essere fedeli allo sport e di rispettare le leggi e il comandamento nelle gare che disputiamo nel nome delle nostre città e del nostro Paese. Partecipiamo ai Giochi della Gioventù con l'entusiasmo della nostra età e nello spirito di Olimpia». Una preziosa eredità andata perduta, ancor di più alla luce dei grandi risultati ottenuti quest'anno dallo sport italiano a Tokyo.

Basti pensare che una campionessa del calibro di Gabriella Dorio, oro a Los Angeles 1984, iniziò mettendosi in mostra a 14 anni proprio ai Giochi della Gioventù, dove nel luglio 1971 vinse i 1000 metri piani. L'anno dopo i Damilano, gemelli quindicenni, vinsero a pari merito le fasi provinciali e poi nel 1980 Maurizio si prese l'oro nella marcia alle Olimpiadi di Mosca.

Dalla medesima cassaforte sono usciti Giuseppe Giannini nel calcio, Antonello Riva nel basket, Maurizio Fondriest nel ciclismo e Paola Magoni (altra campionessa olimpica) nello sci per la versione invernale dei Giochi. Le loro storie e i grandi nomi simboleggiano una ricchezza svanita. Quella gioventù che non ritorna a discapito dello sport italiano.

(1 - continua)

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