C'era una volta Real Madrid-Milan, il famoso derby d'Europa definizione cara a Florentino Perez, attuale presidente dei blancos, per via della reciproca, strepitosa collezione di Coppe dei Campioni e Champions league. Oggi il fascino resiste ancora, quasi intatto, a dispetto dei due diversi destini recenti, gli spagnoli sulla cresta dell'onda, i milanisti alle prese con una tormentata rinascita, per via anche degli intrecci di campioni e tecnici passati da una sponda all'altra con reciproca soddisfazione. La casa blanca aprì addirittura lo stadio Bernabeu in una notte di fine giugno per celebrare l'arrivo di Riccardino Kakà dal Milan appunto. Ad accoglierlo ci fu Alfredo Di Stefano, con un bastone per reggere il peso della vecchiaia e uno sgabello in prima fila.
Oggi su quella panchina più gloriosa al mondo siede Carlo Ancelotti, una icona del tifo rossonero perché collezionista di successi continentali da calciatore e da allenatore, ancora legatissimo al club. Theo Hernandez, gestione Paolo Maldini, è uno dei gioiellini madridisti, scelti dal Milan americano per provare a replicare le imprese irraggiungibili dell'era berlusconiana. D'altro canto l'epopea di Sacchi e Van Basten nacque proprio a Madrid con una serie di sfide memorabili, inaugurata da qualche amichevole ma seguita da quella storica di San Siro (5-0) che rappresentò la premessa alla conquista della coppa campioni nel 1989.
Il primato di quel Milan fu documentato anche dallo scudetto dei ricavi: 195 milioni contro i 193 del Real i dati registrati nel 2002/2003, briciole rispetto alle cifre odierne che vedono il club spagnolo superare quota 1 miliardo e il Milan assestarsi oltre la soglia dei 450 milioni. Si spiega soprattutto così il dominio del Real sul mercato e nella Champions. Sull'appuntamento di questa sera insiste a buon ragione un velo di grande e motivata tristezza testimoniato dalle notizie agghiaccianti che arrivano dal disastro di Valencia. «Il calcio dovrebbe fermarsi, viene in secondo piano ma noi non contiamo nulla», è il lamento di quel gigante del buon senso e del senso di appartenenza che è appunto Carlo Ancelotti. Lo segue Lucas Vasquez con la confessione pubblica: «È complicato preparare una partita cosi». Ma si sa che l'Uefa, sul tema, non ha orecchie per ascoltare quel che accade nella società civile. Sempre al Real Madrid, quasi una maledizione, toccò giocare la sera dell'11 settembre a Roma prima di decidere la sospensione del torneo per l'attacco alle torri di New York.
Questo Milan arriva a Madrid trascinandosi dietro una classifica Uefa deprimente (appena 3 punti) e un conflitto interno determinato dalle note scelte di Fonseca sul conto di Leao, stasera destinato al confronto a distanza con l'altra stella, Vinicius jr., secondo dietro a Rodri nel contestato Pallone d'oro. A fargli una carezza provvede Morata, ora diventato un leader del gruppo, con una frase che sembra il simbolo di una mano tesa dalla parte schierata al fianco di Fonseca. «Leao è il nostro miglior giocatore, abbiamo bisogno di lui» dice l'ex atteso da qualche fischio perché riconosciuto simbolo dell'Atletico Madrid.
Al Milan di questi tempi basterebbe persino evitare una figuraccia al cospetto dei campioni in carica che - per riconoscimento dello stesso Ancelotti - stanno incontrando qualche difficoltà di troppo, spiegata dalla partenza di Kroos mai sostituito. Ecco perché può essere la notte di Leao.
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