Il tricolore più bello: vissuto al buio da solo in casa e con la tv spenta

Cellulare silenziato e lettura di un libro: così ho trascorso la serata del trionfo. Ma ora tornerò a vedere le partite, non guardavo più nemmeno gli highlights

Il tricolore più bello: vissuto al buio da solo in casa e con la tv spenta
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Tutte le sere, prima di coricarmi, per favorire il sonno prendo dieci gocce di Xanax in un bicchiere d'acqua. Lunedì, alle 20.45, ho fatto il contrario: dieci gocce d'acqua in un bicchiere di Xanax. C'era il derby.

Mi ero anche bevuto, poco prima, una mezza bottiglia di vino, anzi un po' più di mezza, e un limoncello, perché mi ero ricordato quello che mi aveva suggerito alcuni anni fa un collega a proposito della nostra comune paura di volare: «Prima di salire in aereo, niente di meglio di un mix tra alcol e psicofarmaci». Ma la paura di morire in un incidente aereo, per me, è nulla rispetto al terrore di perdere un derby. E per giunta un derby come quello di lunedì.

Il lettore avrà già capito che sono interista. E noi interisti siamo così: abituati a pensare che le cose andranno male per venire poi smentiti dalla realtà perché, invece, vanno peggio. La prima Inter che ricordo è la mesta squadra di Alfredo Foni, stagione 1968-'69, la prima della presidenza Fraizzoli. Inutile che aggiunga altro: chi è interista e ha una certa età, avrà già capito.

L'interista impara presto che il suo futuro corrisponderà al titolo di un famoso film con Alberto Sordi: una vita difficile. Invecchiando, poi, si peggiora. Non è vero che l'età porta saggezza. Forse in altri campi, ma non nell'amore più inesplicabile che esista: quello per una squadra di football.

Per dire: io, da tempo, non ce la faccio più a guardare le partite. Ma quest'anno ho passato il limite della demenza: non ho neanche guardato gli higlights a partite finite. Per questo lunedì sera mi sono chiuso in casa, ovviamente da solo. Alle nove mi sono messo a letto a leggere uno dei quei meravigliosi gialli di Antonio Manzini con Rocco Schiavone. Ho messo il cellulare sul silenzioso e l'ho appoggiato sul materasso, in modo che se mi fosse arrivata una chiamata o un messaggio, non avrei avvertito la vibrazione. Mi sono addormentato. E grazie a Dio (solo Lui può essere intervenuto) poco dopo le undici mi sono svegliato. Ho preso il telefono, ho visto che c'erano messaggi dei figli e degli amici e prima ancora di aprirli ho capito.

È stato il mio scudetto più bello, ma l'ho vissuto al buio.

Solo una volta non sono riuscito ad evitare la sofferenza in diretta.

Era la sera di lunedì 8 aprile ed ero stato invitato con il grandissimo Leo Turrini a presentare il nostro Romanzo Inter al salumificio Villani di Modena. La data era stata fissata da prima che si sapesse che quella sera, ahimè, c'era Udinese-Inter. Entrando nel salumificio uno del pubblico, un nerazzurro ovviamente, mi ha detto: «Se perdiamo stasera lo scudetto è perso». Avevamo quattordici punti di vantaggio e, se sconfitti, ne avremmo conservati undici a sette giornate dalla fine. Ma noi interisti agée siamo così: abbiamo perfino paura che possa rimontare un Milan che ha preso come manager Ibrahimovic.

E dunque, la sera di quel lunedì 8 aprile, mentre Leo ed io venivamo intervistati da Roberto Alperoli, che è un poeta meraviglioso e volava altissimo, si consumava lo psicodramma di una partita in cui siamo andati sotto e abbiamo vinto all'ultimo minuto di recupero. Leo ed io guardavamo il pubblico e venivamo informati a gesti. Poi lui è stato bravo a chiudere l'incontro prima della fine della partita, silenziando uno spettatore che voleva intervenire. Siamo finalmente potuti fuggire: Leo sul balcone a fumare, io chiuso in bagno.

E così, questo campionato che ha capovolto la legge di Murphy, perché neanche il più ottimista avrebbe potuto sognare un finale così meraviglioso, per

me comincia oggi. Mi guarderò finalmente tutte le partite, dalla prima all'ultima. Ma sono certo che riuscirò a soffrire lo stesso.

Il lettore penserà che questa è una narrazione di fantasia. Invece è tutto vero, purtroppo.

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