Non c'è due senza tre. Oro, argento e bronzo: tutto sembra facile, come un detto di antica saggezza, quando di mezzo c'è il filo e il senso di Arianna per il podio. Lei è una Fontana di medaglie: ieri ha centrato, in un'altra gara ad altissimo pathos, il bronzo nei 1000 metri, conquistando la terza medaglia olimpica. Non un record per lei: quel tris - pur senza oro, ma con argento e due bronzi - le era già riuscito a Sochi 2014. E così Ary centra otto sigilli olimpici, regalando all'Italia la decima medaglia, con un personale contributo di tre metalli. Questo, sì, è un record: come lei, nel mondo olimpico dello short track, sono solo altri due mister a vantare otto bellezze in carnet. Il primo è un certo Apolo Ohno, nome mitico per un pattinatore americano da leggenda. Il secondo è Viktor An, sudcoreano, naturalizzato russo, che, alla viglia di questi Giochi, è stato escluso dal team: il mix di profumo di doping unito al cimento sul ghiaccio dell'ex patria, che mai digerì il cambio di passaporto, poteva essere esplosivo.
Lei, invece, ha solo storie limpide come i suoi occhi chiari: da questi Giochi voleva tre cose e le ha ottenute tutte. Voleva la medaglia più preziosa, nei 500 metri, distanza che le mancava. Fatto, oro. Voleva portare la staffetta sul podio: fatto, argento. Voleva centrare la medaglia anche nei 1000 metri, gara che ai Giochi ancora non aveva fatto sua. Fatto, bronzo. Il valore della sua campagna di Corea va oltre il ghiaccio: con otto sigilli olimpici, Fontana è la quinta atleta italiana più medagliata di sempre e il computo abbraccia anche la versione estiva di Olimpia. Lei, appaiata a Giovanna Trillini, sta alle spalle di Edoardo Mangiarotti (13 sigilli), Stefania Belmondo (10), Valentina Vezzali e Giulio Gaudini (9). La sua gara di ieri è stata perfetta perché Ary ha sfoderato la sua migliore arma, la calma olimpica.
La finale è un affollato e non facile gioco a cinque con due coreane, Choi Minjeong e Shim Sukhee, la canadese Kim Boutin e l'olandese Suzanne Schulting. È l'orange a condurre, quasi incredula, quel minuto e mezzo di sportellate in nove intasatissimi giri. Tutto si compie alle sue spalle e lei si prende un oro un po' alla Steven Bradbury. Ricordate costui? È l'uomo della fortuna, venuto dall'Australia a Salt Lake City 2002, a vincere uno dei più improbabili ori olimpici, mentre tutti i colleghi cadevano, lasciandolo solo in pista. Stavolta non va proprio così, ma quasi: l'olandese era, infatti, la meno accreditata, ma nella concitazione per chi sta dietro è impossibile attaccare. Boutin vola verso l'argento, le coreane si agitano, si agganciano pure alla lama di Arianna, prima di autoeliminarsi.
Lei resiste. E sorride di bronzo: «Questo bronzo vale tanto perché è stato il più sofferto. Se chiudo settima, come nei 1500, qualcuno dice che deludo! Non è facile fare tutte le gare e farle così, da quando ho 15 anni». Dopo i 1500 Ary racconta di essere andata a vedere il mare col marito. Per staccare. Che cosa c'è, dopo tutti questi record? I Mondiali a Montreal, fra tre settimane, certamente: «Prima ho un altro impegno: vado a votare...», dice Ary, «Queste medaglie devono restituire orgoglio all'Italia: dobbiamo darci una svegliata, anche noi cittadini».
A chi le chiede se poi smetterà risponde: «Lasciare non è facile: devo trovare qualcosa per cui valga la pena e la gioia di combattere come ho fatto fino ad oggi». Una bandiera, un altro sogno, possono bastare. Grazie Arianna, per sempre portabandiera.
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