L'Arco di Trionfo è diventato lo specchietto per le allodole di una Parigi che ieri ha festeggiato il trionfo della nazionale francese, ma che nel resto della capitale e del Paese, la sera prima, si era lasciata andare a una violenza carica di drammaticità. Stanno scorrendo fiumi d'inchiostro sulla Francia multietnica di Didier Deschamps, ma alla fine il tanto decantato modello di coesione si è scontrato con le problematiche delle periferie, dove il lavoro latita, le famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese, e la delinquenza trova terreno fertile offrendo, soprattutto ai giovani, un'alternativa alla miseria, un modo in apparenza facile e immediato di riscattarsi dal disagio in cui sono cresciuti. Senza contare che su quel tessuto urbano prolifera il jihadismo. Il "modello" funziona nel calcio, non certo nella quotidianità. Ci si spella le mani allo stadio dagli applausi, obnubilando una certa tensione emersa addirittura nel ritiro di Clairfontane, un mese prima del mondiale, per via della presenza di sette giocatori musulmani (Rami, Sidibé, Mendy, Pogba, Kanté, Fekir e Dembelé). Il governo Macron si è adoperato a nascondere la polvere sotto al tappeto dell'ipocrisia, perché alla fine dei conti la Francia iridata aveva in campo soltanto cinque francesi doc (Lloris, Pavard, Hernandez, Giroud e Griezmann), le ex colonie hanno tamponato limiti tecnici e sportivi altrimenti assiomatici. Per gioco potremmo comporre una squadra "all white", completando lo schieramento con Debuchy, Koscielny, Rabiot, Tousart, Thauvin, fino a grattare il fondo del barile e richiamare alle armi il vetusto Ribery. Altro in giro non se ne trova, perché il movimento calcistico transalpino è quasi solo black e beur.
Una squadra così avrebbe però faticato a passare gli ottavi di finale persino con l'Argentina di un Messi claudicante. Mentre Deschamps e i suoi ragazzi sollevavano la coppa al cielo, propagandando forza e coesione di una Francia multietnica, domenica sera per le strade, a distanza di sicurezza dal salotto buono degli Champs Elysées comunque poi evacuato, si registravano episodi sempre più feroci di guerriglia urbana, generati proprio dai figli delle ex colonie. È un vero e proprio atto di guerra perpetrato da chi non cerca uguaglianza ma vuole solo enfatizzare le differenze. La vittoria sulla Croazia è diventata un pretesto per nuovi scontri, nuove violenze e per arroccarsi sulle proprie posizioni. Non si è trattato di un gesto isolato in una notte da canone inverso, nonostante il governo Philippe abbia cercato di minimizzare la portata degli eventi. Era già successo quando i galletti avevano sconfitto il Belgio, guadagnando l'accesso alla finale. L'8 luglio scorso, gli immigrati di seconda e terza generazione avevano alimentato scene di guerriglia urbana, costringendo la Polizia a scendere nelle strade in assetto antisommossa, scagliando lacrimogeni per disperdere la folla. Il governo francese se l'aspettava, tant'è che il ministro degli Interni Collomb aveva ordinato nel pomeriggio all'azienda dei trasporti pubblici parigini di interrompere in caso di vittoria tutte le corse da e per i quartieri delle banlieues.
Non è andata meglio nel resto del Paese: a Lione la Polizia ha dovuto effettuare delle cariche per disperdere la folla, ad Arpajon giovani immigrati hanno preso d'assalto le forze dell'ordine bersagliandole con lanci di bottiglia, stesso discorso a Rouen, Mentone e a Marsiglia. Quello del meticciato francese è un destino infernale poiché culture, etnie e religioni, l'una antitetica all'altra, non riescono a raggiungere un modus vivendi accettabile.
La vittoria dei Bleus non azzererà le polemiche sulla sicurezza e sull'immigrazione. I francesi non sono quelli del '98, quando dopo l'impresa di Zidane iniziarono a credere che la Repubblica non sarebbe stata più travolta da una moltitudine incontrollata di sans-papiers.
«Teneteveli pure i vostri campioni», urlavano nella banlieue di Clichy-sous-Bois i manifestanti. Per loro Mbappé, Pogba o Matuidi sono soltanto traditori (dell'Africa) al soldo di una Francia che non li rappresenta e che, semmai, li esalta solo per rispolverare la grandeur.
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