Da un lato la crescita di un gruppo che sta inserendo volti nuovi e «freschi» ricchi di motivazioni e velocemente adattati ai solidi principi di gioco del ct. Dall'altro il problema cronico della siccità in zona gol, ovvero l'individuazione di un attaccante giusto al quale affidarsi per risolverlo. Il dato emblematico, che riguarda tutta la truppa azzurra di questo quadriennio, è che nessun giocatore ha raggiunto la doppia cifra realizzativa nella gestione Mancini. Persino Belotti e Immobile, i terminali offensivi principali dal 2018 (50 presenze in due), sono fermi a otto reti esattamente come Barella, un centrocampista che «vede» la porta. Il torinista non segna da 11 gare (ultimo sigillo a San Marino nell'amichevole pre Europei) stretto nella morsa di infortuni e problemi vari, il laziale da un anno esatto (la marcatura alla Svizzera nel secondo atto della trionfale cavalcata continentale) con sole sette apparizioni successive nella quali è stato sempre sostituito.
Quello del gol è un problema che si è acuito dai rigori «svizzeri» di Jorginho, costati all'Italia il posto al Mondiale, e ci sta accompagnando anche in Nations League contro i «pesi massimi» Germania e Inghilterra e il «peso medio» Ungheria. Quello zero nella casella reti segnate in quattro delle ultime sette partite, tante volte quanto nelle precedenti 45 gare del ct jesino, è lo specchio delle nostre difficoltà. Come lo sono i tre gol nelle 4 gare della nuova fase, iniziata a Wembley il 1° giugno, tutti firmati da centrocampisti. Raspadori (con caratteristiche più da seconda punta, per la verità) e Scamacca, i centravanti in rampa di lancio per raccogliere l'eredità dell'attacco in futuro, non hanno ancora inciso. In particolare il secondo - arrivato da nove mesi, quindi nel ciclo post Europeo (il più difficile della squadra di Mancini) - non si è ancora sbloccato con la maglia azzurra in 333 minuti giocati. Pochi, si dirà, per l'attaccante 23enne pure corteggiato da mezza Europa con una valutazione stimata intorno ai 45 milioni di euro, bonus inclusi.
«Creiamo tanto, dobbiamo migliorare sotto porta», è il refrain del ct che non manca anche dopo la sfida agli inglesi. Prima della quale era persino tornato a evocare Balotelli, la cui storia in azzurro pare già finita da tempo: «Io gli voglio bene, se in questi anni avesse fatto quello che era capace di fare, probabilmente sarebbe anche tornato, poi abbiamo trovato la squadra ed era difficile reinserirlo. Forse il momento per richiamarlo poteva essere a novembre con la Svizzera, quando avevo 10-12 infortunati. Ora noi dobbiamo costruire qualcosa con ragazzi più giovani per puntare a vincere nel 2026».
Qualcuno fa notare da tempo che il modo di giocare di Mancini - che ora sta abbandonando il palleggio per virare progressivamente su profondità e verticalità della manovra - non agevola i centravanti. La caccia a scovarne di nuovi è sempre più complicata. Pinamonti, Pellegri e Kean sono i profili che andranno ritestati in futuro, di sicuro a differenza di altri ruoli (vedi gli ultimi «deb» Gatti ed Esposito) è difficile poter pescare in serie B o all'estero.
Il bicchiere mezzo pieno resta così il primato nel girone di ferro della Nations League.
Una competizione che non è certo sinonimo di grande competitività e soprattutto assomiglia a un peso enorme da mettersi sulle spalle, in coda a una stagione logorante. Ma tre indizi fanno una prova: l'Italia sta tornando bella, le manca ancora un pezzo finale importante, ovvero segnare. Che nel calcio conta e non poco.
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