Avrebbe dovuto piantare tra le aride dune del deserto il seme fruttuoso del miglior calcio italiano, anzi europeo. E chi meglio di lui che, in quel fatidico 11 luglio 2021, gli Europei li aveva vinti davvero? Con merito e coraggio, schiantando gli inglesi addirittura in casa loro, nella cornice da brividi caldi di Wembley, mica in un anonimo stadio saudita da brividi freddi per colpa dell'aria condizionata sparata a palla.
E invece Roberto Mancini, al termine della sua deludente esperienza come ct dell'Arabia Saudita, ha finito per esportare nella terra del petrolio uno tra i nostri vizi più neri: trovare scuse sempre e comunque. Autocritica? Mai! Il tabellino dei flop inanellati dal tecnico marchigiano dovrebbe essere un dato oggettivo, eppure all'indomani del benservito saudita (molto «benservito» considerati i milioni di euro che continuerà a incassare) Mancini ha subito precisato che no, tutto sommato la sua gestione non è stata negativa, tanto che la nazionale degli sceicchi «è ancora nei playoff per la qualificazione ai prossimi Mondiali». E poi, altre dichiarazioni sul presunto handicap di aver operato «senza neanche il 50% dei titolari». Infine i saluti di prammatica, stridenti però col «vaffa» lanciato all'indirizzo dei tifosi dopo l'ultimo pareggio interno contro il Bahrein.
C'è pure un altro carattere tipico dell'italian style di cui Mancini si è fatto ambasciatore: dire qualche bugia di troppo. Ma qui le giustificazioni non mancano.
Siamo o no la patria di Carlo Collodi? Una sindrome da Pinocchio che colpì il Mancio nel 2023, quando abbandonò gli azzurri con motivazioni che gli fecero allungare il naso, alla cui punta pendevano borse di petrodollari. Da oggi Mancio è in Italia. L'asta per ingaggiarlo è aperta. Lui ha naso, i club hanno fiuto. E la storia che i soldi non fanno la felicità è una balla. O no?
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