Anche lui ha visto la morte in faccia. Anche Primoz Roglic, l'avversario numero uno del numero 1 Remco Evenepoel è uno che ha scelto il ciclismo dopo essere stato campione in un altro sport, non nel calcio come il belga, ma nel salto dal trampolino.
A differenza del 23enne belga, lo sloveno è costretto a subire questa «generazione di fenomeni», di cui Evenepoel chiaramente è punto di riferimento. Lui non è più un ragazzino e con i suoi 33 anni compiuti, un oro olimpico a Tokio nella cronometro, oltre a tre Giri di Spagna consecutivi e una Liegi, si appresta a dare un nuovo assalto alla maglia rosa.
Dopo avere visto la morte in faccia per una caduta durante un salto dal trampolino sugli sci (a Tarvisio, nel 2007, vinse il titolo mondiale a squadre juniores, ndr) e quando da noi molti corridori sono costretti a smettere perché non hanno ottenuto grandi risultati nelle categorie giovanili, Primoz Roglic sceglie la bicicletta come strumento di riabilitazione. Comincia a correre tra i cicloamatori: siamo nel 2012 e tra qualche cicloraduno sul Garda, lo sloveno conquista la 3a tappa del Giro del Friuli, dov'è in corsa c'è anche un certo Claudio Chiappucci. In quella stagione vince anche la Granfondo di Pordenone e nel 2013 arriva alla Continental slovena Adria Mobil.
Sono passati dieci anni: da cicloamatore a corridore di riferimento del ciclismo mondiale, cosa si prova?
«Sono in pace con me stesso. Dieci anni intensi, pieni di soddisfazioni e qualche amarezza. Ma io sono abituato a pensare positivo: non guardo a ciò che ho lasciato per strada, penso a quello che vorrei aggiungere alla mia collezione. Il Giro è una di quelle cose alle quali tengo moltissimo».
Che cosa le piace dell'Italia?
«Alcune zone sono molto simili alla Slovenia. Devo dire che mi piace tutto: il cibo, il vino e il modo di vivere. E poi conosco benissimo l'area del monte Lussari dove ci sarà la cronoscalata del Giro. Andavo lì a Tarvisio a fare il salto con gli sci, qui c'era la cerimonia delle medaglie ai Mondiali juniores che ho vinto. E ci sono tornato molte volte a fare sci alpino».
Quest'anno quattordici giorni di corsa con sette vittorie: un buon preludio prima della grande sfida rosa con Remco.
«Non dovrò fare i conti solo con lui, ma con diversi grandi corridori, come Geraint Thomas e Tao Geoghegan Hart. Ma attenzione anche a Joao Almeida e al vostro Damiano Caruso. Ci sono tanti corridori di qualità».
Le piace il percorso del Giro?
«Molto. Sulla carta è un tracciato adatto a me. Ma non si corre sulla carta».
Primo Giro nel 2016: 58° a quasi tre ore da Nibali. Ora è tra i grandissimi favoriti. Che effetto fa?
«Ora godo di una considerazione diversa. In quel Giro mi conoscevano in pochi. Partenza da Apeldoorn e perdo la prima maglia rosa per 1/100 da Dumoulin, poi però vinco la crono del Chianti. Quello è il primo grande successo di una carriera che ancora era in embrione. Dopo sono arrivati il quarto posto al Tour 2018, il terzo al Giro 2019, il primo dei tre trionfi alla Vuelta nel 2019 e miglior corridore al mondo nel 2019 e 2020 e dopo tante altre cose importanti».
Ha nove anni più di Pogacar, sette più di Vingegaard, dieci più di Evenepoel: come si trova tra questi fenomeni in erba?
«Sono propulsione pura che ti portano a superare i propri limiti, devi essere sempre al meglio, hanno cambiato il modo di correre. Ho qualche anno di più di loro, ma sono più rilassato».
Lei ha una Fondazione: di che cosa di occupa?
«Con Lora, mia moglie, organizziamo eventi per favorire e promuovere l'attività giovanile. Fare sport per avere uno stile di vita corretto è fondamentale».
Come vede il suo futuro?
«Mi manca quello che non ho vinto, chiaramente. A cominciare da quel Tour sfuggito proprio quando intravvedevo il traguardo e una maglia iridata. Anche il Giro, però, è una corsa che vorrei vincere, così come il Lombardia».
Si sente vecchio?
«No. Se sto bene, non ci penso proprio».
C'è uno sportivo che l'ha ispirata?
«Più d'uno, per esempio Tina Maze (la sciatrice due ori olimpici, ndr), è una amica e spesso ci sentiamo al telefono. Così come Miroslav Cerar (due ori con la Jugoslavia nella ginnastica artistica, ndr). Da piccolo sognavo di diventare un grande del salto con gli sci, ero il migliore da juniores.
Quando sono arrivato qui nel ciclismo, non sapevo niente, avevo 22 anni, avevo fatto al massimo 3000 chilometri in tutta la vita. Ero giovane, ma di strada ne ho fatta parecchia. Se ho un motto? Non è mai troppo tardi ».
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