Zoncolan delle follie niente eroi, solo pazzi. Giro da dimenticare

Un tifoso sbilancia Bongiorno in fuga. Rogers "ringrazia" e vince la tappa. Un finale degno di una brutta corsa

Zoncolan delle follie niente eroi, solo pazzi. Giro da dimenticare

Nostro inviato al Monte Zoncolan

Ci mancava la maglia rosa dei cretini, che abbatte un corridore in fuga sullo Zoncolan, tra parentesi un altro giovane italiano. Ecco, abbiamo pure quello. Siamo al completo. Oggi si può arrivare a Trieste e archiviare ufficialmente il più brutto Giro del nuovo Millennio.

Lo spettacolo della salita cattiva è pari alle attese. Niente da dire. Si vede veramente di tutto: orrendi ciccioni nudi che rincorrono i ciclisti, energumeni barbuti con il gonnellino da Carla Fracci, padri di famiglia travestiti da Batman e da Orso Yoghi. Migliaia e migliaia di tifosi che trasformano lo Zoncolan in un altro Maracanà. Purtroppo, anche migliaia e migliaia di ettolitri ad alta gradazione che trasformano questa folla in una potenziale bomba atomica. È la festa di popolo, la grande sagra veramente “pop” che soltanto il Giro d'Italia riesce ancora a mettere in piedi. I rischi, però, sono tremendi. Senza la concreta possibilità di controllare metro per metro, l'idiota in libertà è libero di agire. E di fare danni ingenti.
Tocca al baby Bongiorno, scalatore di futuro, pagare pesantemente. È la sua giornata più bella e la sua occasione più grande. È in fuga con l'australiano Rogers, ormai vede la possibilità concreta del grande colpo. Il colpo della vita. Purtroppo, gli tocca il colpo incontrollabile del cretino naturale. Il tifoso ha pure la maglia iridata (campione mondiale dei cretini) e non perde l'occasione per assestare a Bongiorno una botta (una spinta?) che praticamente distrugge tutto: la festa “pop”, il sogno del nostro ragazzino, l'idea stessa dello Zoncolan. Bongiorno e buonasera. Il baby barcolla, quasi cade, mette il piede a terra. Ciao progetto di fuga, ciao vittoria della vita. Rogers ovviamente se ne va - un cronoman che domina sullo Zoncolan, non proprio una leggenda -, la festa è rovinata. Secondo Pellizotti, Bongiorno è solo terzo. Per pura fortuna - è quasi impietoso dirlo a Bongiorno - il gesto dell'idiota iridato tocca a un ragazzino fuori classifica, così da lasciare intatto il risultato finale del Giro. Ma è solo un caso.

Bongiorno è molto triste, comunque ottimo filosofo: «Mi ha abbattuto nel momento più difficile. Forse era troppo alto il tasso alcolemico. Però non voglio generalizzare. La gente è la nostra forza. Dico solo che deve rispettarci...».
In attesa che sulle strade del Giro arrivi la prova del palloncino (non credo tornerebbe a casa molta gente), non resta che archiviare sbrigativamente il nuovo flop. L'immensa platea dello Zoncolan merita di meglio. Invece. Oltre alla vittoria del cronoman, c'è di peggio. C'è la maglia rosa col braccino, questo Quintana che si limita a controllare, senza concedere la doverosa impresa, ma soprattutto non c'è il colpaccio del nuovo idolo Fabio Aru: partito per scippare il secondo posto finale a Ciccio Uran, deve organizzarsi invece una durissima difesa del terzo, perché la giornata non è chiaramente felicissima.

Fine delle trasmissioni. Il Giro si chiude com'era cominciato e com'era proseguito: sottotono, sottotraccia, sottosviluppato. Uno dei più insulsi e dei più anonimi di sempre. A partire dalla farsa di Bari per il fondo scivoloso, proseguendo per la rotonda di Cassino che regala la maglia rosa a Evans, passando poi per lo scandalo dello Stelvio, finendo quindi con il tifoso mentecatto dello Zoncolan, il diario di questa edizione è ben poca cosa. Grandi clamori solo per sinistri stradali e coltellate fra le scapole. Poco, pochissimo clamore per imprese vere di ciclismo. Personalmente, ricordo con il superlativo solo il trionfo per distacco di Aru a Montecampione, bagliore accecante del campione che esplode.

Quella grande giornata, assieme all'inattesa mietitura di giovani azzurri, da Ulissi a Battaglin, è quanto ci dobbiamo tenere stretto alla fine del lungo viaggio. Il resto, sinceramente, possiamo pure lasciarcelo per strada.

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