Un «doppio cieco» è un esperimento scientifico in cui sia al paziente, sia agli sperimentatori sono nascoste informazioni fondamentali: per esempio, quale farmaco stiano testando, e se si tratti di un placebo o di un vero medicinale. Si tratta di un modo per dare maggiore valore alla prova ottenuta: nessuno ne sa nulla e, quindi, nessuno è condizionato (che poi questo sia vero...). Quale esperimento conduce quindi Edward St Aubyn nel suo nuovo romanzo Doppio cieco (Neri Pozza, pagg. 320, euro 19)? Un esperimento, ça va sans dire, sulla vita: le nostre paure, le nostre miserie, le nostre desolazioni e meschinità; le nostre malattie e le nostre dipendenze; le nostre vie d'uscita (Via d'uscita, del resto, si intitolava un suo romanzo del 2000) fra cui la letteratura, la droga, la meditazione e, più radicalmente, la libertà; il nostro futuro, qui indagato sia nei termini di una sfida ecologica per salvare il pianeta e l'Homo sapiens che lo sta distruggendo, sia in quelli dei progetti più avveniristici nell'ambito della tecnologia, della medicina, della genetica e delle neuroscienze. Insomma, i pazienti dell'esperimento siamo noi. Gli sperimentatori sono coloro che agiscono in questo romanzo da padroni del mondo - ed effettivamente lo sono: miliardari con interessi nell'hi-tech, nel trattamento del Dna, nella costruzione di «elmetti cerebrali», nella scoperta di geni dell'immortalità (magari scovati in un lombrico)... E lo scienziato, beh, è St Aubyn medesimo: veste inedita per il più aristocratico degli scrittori britannici che qui, addirittura, in un gioco letterario esplicito, dà a uno dei personaggi il nome di dottor McEwan, come il collega Ian, noto per affrontare temi scientifici nei suoi libri.
La scienza che diventa letteratura, e la letteratura alle prese con la scienza, nelle mani di St Aubyn diventano qualcosa che, anche se non è I Melrose, ne porta comunque con sé il fascino, quel misto di dolore e ironia, crudeltà e umorismo, in cui il Latte materno è fiele, un Lieto fine è una mezza tragedia e, se tuo padre ti ha stuprato da piccolo, in fondo, Non importa. Ovviamente non è vero: non basta nemmeno un «doppio cieco» a garantire la verità, e la scienza, per quanto convincente a parole, potere e soldi, non sembra proprio che riesca a risolvere tutti i nostri problemi; o meglio, non sembra proprio che riesca a risolvere quelli che contano davvero. E infatti, come sempre, bisogna ricorrere all'arte, ovvero, nel caso di St Aubyn, alla letteratura, quella vera, non quella dei circoletti che ha preso in giro nell'esilarante Senza parole.
Questa volta, la trama offre una serie di personaggi strepitosi: su tutti, il ricchissimo Hunter, uno squalo vorace che ingurgita qualsiasi azienda porti avanti un progetto scientifico/tecnologico vagamente interessante, con una dipendenza dalla cocaina, un'infanzia disastrata, un ego smisurato e una tenuta sulle scogliere della California che si chiama Apocalypse Now. I vicini di questo colonnello Kurtz/Brando, la cui rabbia è altrettanto pericolosa e dannosa, sono una ereditiera patita di yoga e poco autoironica («la puttana tantrica» nella definizione di una rivale un filo gelosa) e un repubblicano patito di armi e di caccia così autoironico da pensare di poter fare molto di più a favore dell'ambiente rispetto alle chiacchiere dei manifestanti, per esempio parlando con i suoi amici petrolieri di riconversione energetica... E poi, dall'altra parte dell'oceano, a Londra e dintorni, ci sono Olivia e Lucy, amiche di vecchia data, scienziate entrambe: la prima alle prese con Francis, un biologo impegnato in un progetto di inselvatichimento, la seconda alle prese con il suo capo Hunter e un aggressivo tumore al cervello. Intorno a loro si muovono Jade, la temibile assistente di Hunter; Saul, imprenditore e mezzo socio di Hunter interessato soprattutto alla coscienza e alla sua riduzione materialistica; un frate francescano e un cardinale gesuita (di nome Lagerfeld, come lo stilista...) in affari con Hunter dopo aver «venduto» il cervello del Beato Fra Domenico alla scannerizzazione per Brainwaves, un progetto che mira a offrire a tutti, attraverso la realtà virtuale, la beatitudine guadagnata in trent'anni di solitudine e preghiere; il padre di Olivia, uno psicoanalista che cerca di arginare la deriva meccanicistica della sua professione e si ritrova come paziente Sebastian, un giovane schizofrenico che, forse, potrebbe essere il gemello biologico di Olivia...
La «Medusa del determinismo», che incombe su tutti i personaggi (e sull'esperimento intero, per tornare al «doppio cieco») è, per alcuni, una garanzia di sicurezza, psicologica ed economica; per altri, una rassicurante prospettiva scientifica; per altri ancora, come Francis, un tormento rispetto alla sua «passione per la libertà»; per Sebastian, infine, è palesemente «un trucco», come tante altre «verità» che cercano di propinargli (insieme alla clozapina, che fa l'effetto del Mago di Oz, «perché quando la prendi è tutto falso»). Ma in un mondo imbrigliato che si autodistrugge, «in assenza della poesia, della politica e di una protesta ben mirata», che cosa resta? La risposta è un trionfo di staubynismo, ovvero...
la psilocibina, generosamente offerta dalle spore dei funghi. Quando tutto intorno crolla, anche se finge di stare in piedi benissimo, basta un tocco di allucinogeno per far saltare qualsiasi «doppio cieco». Anche questa volta possiamo stare tranquilli.
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