La quarta delle venti regole del romanzo poliziesco stilate da S.S. Van Dine nel 1928 recita: «Il colpevole non deve essere mai l'investigatore o il poliziotto». E Agatha Christie la rispettò. Anzi, la sfruttò questa regola. Per uccidere, dopo ben cinquantacinque anni di onoratissimo servizio, il suo Hercule Poirot. Come? Semplicissimo: in Curtain: Poirot's Last Case (in italiano: Sipario) datato 1975, l'assassino è proprio il detective belga. Il quale perciò meritava, secondo la regina del giallo - che, detto per inciso, gli sopravvisse (in carne e ossa e macchina per scrivere) soltanto pochi mesi - la morte civile, o quantomeno l'ergastolo letterario. È il tipico esempio di una donna che mostra di avere più palle di un uomo, nella fattispecie di sir Arthur Conan Doyle, costretto a resuscitare Sherlock Holmes a furor di popolo dopo averlo annegato.
Sophie Hannah aveva cinque anni, quando la Christie entrò nel mondo dei più, e delle regole di S.S. Van Dine se ne impipa. Quindi quando la casa editrice Harper Collins, d'accordo con Mathew Prichard, nipote di Agatha, le propose di rimettere in pista quel cicciottello dai modi affettati ma con le «celluline grigie» sempre in azione e pimpanti, prima fece un salto sulla sedia e un secondo dopo accettò. Nel suo curriculum aveva già, oltre ad alcune raccolte poetiche e a qualche libro per bambini, una corposa sequela di thriller psicologici, pubblicati anche da Garzanti con titoli stentorei: Non è mia figlia, Non ti credo, Non è lui, Non è un gioco, Non è come pensi. Insomma, non era una brutta idea affidare a questa inglesona di Manchester il compito di rinverdire i fasti di certe atmosfere old England, fra un tè e una boccetta di stricnina, una passeggiata in campagna e un cervello spappolato a colpi di mazza. Così nacque The Monogram Murders, diventato da noi, per i tipi di Mondadori, Tre stanze per un delitto (2014), in cui ad affiancare il prode Hercule non era il fido e un po' tonto capitano Arthur Hastings, bensì un giovane puledro della scuderia di Scotland Yard, Edward Catchpool. Teatro del romanzo, la Londra del 1929, anno in cui, effettivamente, nel canone poirottiano c'è un buco temporale, nel senso che nel '29 non uscì alcuna inchiesta griffata Christie con lui protagonista.
Ed ora, dopo il buon riscontro ottenuto, la Hannah ci ha preso gusto, e propone (dal 20 settembre sempre per Mondadori in Italia) la seconda rievocazione: Closed Casket, cioè La cassa aperta (pagg. 324, euro 19,50). La cassa in questione, ovviamente, è una cassa da morto. Intorno alla quale, e anche prima che il morto (o la morta? non vogliamo mettere il carro - funebre- davanti ai buoi) diventi tale, si muovono, sotto gli occhi attenti della strana coppia, undici personaggi, una squadra che al pressing preferisce la melina fatta di mezze frasi, insinuazioni e un buon numero di falsità. Si gioca in trasferta, in Irlanda, e un pizzico di ironia sciovinista sulla polizia locale, la Garda, è da mettere in conto.
Una vecchia arzilla scrittrice di gialli, sentendo puzza di delitto ha invitato Poirot e la sua spalla nell'incantevole dimora di Lillieoak. Dove le fanno ingombrante compagnia, oltre alla cuoca, alla cameriera e al maggiordomo, un figlio con moglie, una figlia con fidanzato, due suoi legali, il segretario e la sua infermiera. Come dite? Fanno dodici? È vero, c'è qualcuno di troppo. Ed è la persona destinata a fare una pessima fine, come da copione.
La partenza richiama molto Invito a cena con delitto, il film del '76 di Robert Moore che si avvaleva della sceneggiatura di Neil Simon, una parodia del giallo in forma di commedia. Ma poi, proprio durante una cena che si annuncia oltremodo piccante, accade il prologo della scena madre: Lady Athelinda Playford rivela ai presenti che ha cambiato il proprio testamento, scegliendo come erede universale... Tal dei Tali. È il classico sasso gettato nello stagno, o per meglio dire sulla testa della vittima. La quale vittima, peraltro, a posteriori perderà la simpatia del lettore, rivelandosi molto meno vittima di quanto certifichi il medico incaricato dell'autopsia. Edward Catchpool a tratti ruba la scena alla primadonna Poirot. Come quando gli domanda: «Quando sappiamo che due cose sono vere, e queste due cose sembrano incompatibili tra loro, anziché dirci che una delle due non può essere vera, non faremmo meglio a chiederci qual è quella terza cosa alla quale non abbiamo ancora pensato e grazie alla quale le due cose vere potrebbero essere vere allo stesso tempo?». Il ragazzo promette bene.
Ha capito che la verità va sempre catturata per vie traverse. Se così non fosse, il genere giallo, da Agatha Christie alla sua emula Sophie Hannah, andrebbe a finire in una cassa chiusa. E tutti ci metterebbero una pietra sopra.
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