Lo Stato non paga, in piazza l’ira delle imprese

RomaI costruttori si tolgono la grisaglia grigia e mettono l’elmetto. Meglio, il casco giallo da cantiere. Preparano il «D-day» di martedì prossimo a Roma, una grande protesta per i mancati pagamenti alle imprese da parte della pubblica amministrazione: 100 miliardi, di cui quasi 30 nel settore edile.
La manifestazione organizzata dall’Ance e da Federcostruzioni culminerà nella presentazione di una denuncia, con la richiesta di un decreto ingiuntivo di pagamento. «Arriva il giorno D fare i conti», dice il manifesto. I ritardi della pubblica amministrazione sono arrivati ormai ad una media di 180 giorni, con punte massime di 2 anni. Gli imprenditori sono stremati dalla crisi anche per l’estrema difficoltà di accesso al credito. Si moltiplicano suicidi, licenziamenti e fallimenti, in un mercato dell’edilizia che si contrae sempre più mentre le tasse aumentano e i fatturati crollano.
Le misure del governo Monti, a partire dall’Imu sulla casa, per i costruttori non fanno che deprimere ancor più il settore, senza dare impulsi alla crescita. L’Ance chiede una svolta, che può partire proprio dal saldare i debiti dello Stato con le imprese. Altrimenti, si passerà alle vie legali.
Nello spazio di fronte alla sede dell’associazione il 15 maggio ci sarà il presidente dei costruttori italiani Paolo Buzzetti, che già a dicembre 2010 ha cambiato la faccia compassata dell’Ance guidando un’inedita protesta in caschetto giallo di fronte a Montecitorio. Al «D-day delle costruzioni», spiegherà la grande operazione di recupero crediti, che riguarda oltre 80 comparti industriali legati al settore delle costruzioni. Poi interverranno rappresentanti di Anci, Upi e Consiglio nazionale degli architetti, che aderiscono all’iniziativa e a dirigere il «traffico» sarà Oscar Giannino.
«Il tempo è scaduto - spiega Buzzetti- non è più tollerabile uno Stato che si comporta in maniera ingiusta nei confronti di imprese e cittadini. La protesta del D-day servirà a dare un avvertimento finale allo Stato che deve pagare i suoi debiti. Se non avverrà nulla, partiremo con i decreti ingiuntivi».
Per il presidente dell’Ance «c’è un condizionamento del governo da parte dell’Europa che ha effetti depressivi: la politica di eccessivo rigore, con l’Imu e il Patto di stabilità, ha aggravato la crisi per rispettare i parametri europei, mentre la ripresa edilizia dovrebbe partire dall’utilizzazione al più presto delle risorse che sono al Cipe».
Buzzetti non usa mezzi termini, lanciando l’allarme per il settore edile che soffre più degli altri: «Bisogna avere il coraggio di dire che la politica economica sta andando nella direzione sbagliata. Si sono decise solo tasse, non si possono mettere a posto i conti rischiando di fermare l’economia. Sono state ridotte della metà le disponibilità per le infrastrutture e, peggio ancora, la casa è stata la vera patrimoniale. Ora, a parole, Monti e il governo riconoscono che bisogna cambiare linea, ma vogliamo vedere i fatti».
I costruttori reclamano un allentamento del Patto di stabilità, che impedisce alle istituzioni pubbliche, a partire da Comuni e Regioni, di pagare i debiti.
Secondo i dati Ance, il 2011 si è chiuso con una riduzione degli investimenti in costruzioni del 5,4 per cento e la previsione per quest’anno è di un ulteriore ridimensionamento del 3,8 per cento. In 5 anni il settore avrà perso oltre il 24 per cento e i posti di lavoro cancellati già sfiorano i 400mila. I costruttori hanno reagito non solo con le proteste ma con le proposte. Per rimettere in moto il settore, centrale nella nostra economia, hanno presentato un «Piano per le città» e un «Piano per le scuole», modelli di interventi di ristrutturazione edilizia e riqualificazione energetica che possono essere adottati da ogni comune d’Italia con investimenti che si tradurranno in risparmi.


Pochi giorni fa anche i giovani dell’Ance sono scesi in campo con la proposta, per il prossimo anno, di un piano di investimenti da 50 miliardi di euro in opere pubbliche. Nel 2012, ha denunciato l’associazione giovanile, la pressione fiscale per le imprese salirà al record del 54,5 per cento del Pil.

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