Un welfare che parla di eutanasia «è un welfare che si dissolve». Alessio Musio, professore ordinario di Filosofia morale all'università Cattolica e bioeticista, analizza il dibattito sulla morte assistita e non può far altro che parlare di schizofrenie.
Professore, quali sono queste contraddizioni?
«Uno Stato democratico non può dire che ci sono condizioni esistenziali indegne di essere vissute. Senza dimenticare che ogni diritto (quello alla salute, all'istruzione, alla casa, per fare degli esempi) ha bisogno di una condizione perché si realizzi: la vita stessa. Ecco perché non esiste il diritto di morire. Un'idea simile è semplicemente un ossimoro».
Il concetto di morte sta cambiando?
«C'è un'inquietante trasformazione culturale. La morte è sempre stata un problema. Ora sembra una conquista, qualcosa di desiderabile. Un welfare sta in piedi, invece, se si preserva la distinzione tra incurabile e inguaribile, il senso del limite della medicina, il valore cardine della cura della persona. La stessa nozione di fine vita dimentica che stiamo parlando di una persona. Ma lo stravolgimento più grande sta nel fatto che stiamo trasformando l'atto della somma disperazione (cioè il suicidio) in una forma di speranza».
Eppure dopo due anni di bollettini sui decessi per Covid...
«Abbiamo contato i morti tutti i giorni, abbiamo fermato tutto proprio per dare priorità alla tutela della vita. E cosa succede? Proprio ora torna la campagna sull'eutanasia e sul suicidio assistito, a conferma di un forte strabismo culturale e sociale».
Resta il problema della sopportazione del dolore.
«L'accompagnamento delle persone che stanno morendo non può coincidere con il dare la morte. Ma non basta rafforzare la cultura delle cure palliative. Occorre capire la differenza tra dolore (fisico) e sofferenza (esistenziale). E sapere che l'annullamento non può mai essere considerato una risposta».
A decidere sui casi sarà un comitato etico territoriale.
«È un aspetto che mi sta molto a cuore.
Questa decisione stravolge la natura del comitato: il suo compito è sempre stato quello di garantire che la sperimentazione clinica e farmacologica avvenga nel rispetto dei pazienti, per non ridurli a cavie. Ora, con un tratto di penna, gli viene chiesto di diventare l'ente che deve autorizzare qualcuno a darsi la morte. Non è welfare, ma una macabra burocrazia».
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