La Storia ci insegna che i conflitti li ferma solo il realismo (in stile Kissinger)

Dal secolo di Ferro al '900: conta la concretezza politica non i proclami

La Storia ci insegna che i conflitti li ferma solo il realismo (in stile Kissinger)

Verso la fine degli anni '50, in piena guerra fredda, apparve nelle librerie degli Usa e in quelle di alcuni Paesi europei un volumetto dal titolo allarmante: Le cause della terza guerra mondiale. Lo aveva scritto uno studioso illustre, ma eccentrico, Charles Wright Mills, che si era conquistato una certa fama accademica come sociologo e che era considerato uno dei più influenti intellettuali della «nuova sinistra», quella che di lì a qualche anno sarebbe stata protagonista di una stagione rivoluzionaria a livello mondiale. Wright Mills era tutto il contrario del classico professore universitario americano del tempo: alto e massiccio, conduceva uno stile di vita trasgressivo. Aveva scritto testi importanti e celebrati come L'immaginazione sociologica e Le élites del potere ma in quel piccolo e provocatorio saggio denunciava la concentrazione del potere decisionale nelle istituzioni militari, politiche ed economiche come precondizione di un possibile scatenamento di un terzo conflitto mondiale.

Per fortuna, le previsioni apocalittiche di Wright Mills si rivelarono fallaci. In fondo egli viveva fuori della realtà e si rifiutava di accettare la stessa idea che l'esistenza di un «ordine mondiale», che pure aveva dato risultati positivi nei secoli, potesse costituire un efficace contrappeso alle derive bellicistiche.

Già agli albori dell'età moderna, all'indomani della guerra dei trent'anni, nel 1648, la pace di Vestfalia aveva disegnato un primo modello di ordine mondiale, cioè di un sistema di Stati indipendenti che si astenevano dall'interferire nelle questioni interne e che controllavano le proprie ambizioni espansionistiche attraverso un equilibrio generale di potere. Naturalmente alle origini di quel conflitto c'erano stati diversi motivi, da quelli di natura religiosa a quelli che chiamavano in causa la lunga ostilità franco-asburgica per l'egemonia sul continente europeo. E gli accordi di Vestfalia non si posero il problema di gettare le fondamenta, come avrebbe in seguito scritto Henry Kissinger, di «un sistema applicabile su scala globale». Ciò avvenne secoli dopo, all'indomani dello sconvolgimento dell'Europa a seguito delle guerre napoleoniche quando, con il Congresso di Vienna del 1814-1815, venne varata quella Diplomacy by conference, che, propiziata dall'idea dell'«equilibrio» teorizzato soprattutto dal principe di Metternich e basata sul cosiddetto «concerto delle potenze», assicurò, nel bene o nel male, un secolo di pace. Poi, c'era stata la Grande Guerra, punto di decantazione di una serie di conflitti, più o meno latenti.

Di recente, uno storico, di quelli che piacciono tanto al grande pubblico televisivo proprio per la sua capacità di semplificazione, ha evocato un azzardato parallelismo, richiamandosi all'infelice locuzione sul «riarmo europeo», tra la situazione del 1914 e quella odierna, anticamera di una possibile Terza guerra mondiale, magari già in atto, sia pure «a pezzi». In verità, le sue argomentazioni non meriterebbero neppure una replica, anche perché, all'indomani del conflitto, non fu particolarmente esaltante né affidabile il tentativo di creazione di un «nuovo ordine mondiale» affidato a un organismo, la Società delle Nazioni, a lungo percepito come un vero e proprio «sindacato» dei Paesi vincitori.

All'indomani della Seconda guerra mondiale, di quella che è stata felicemente chiamata la «guerra civile europea» e che segnò il «suicidio dell'Europa», si cominciò a discorrere a lungo della ipotesi di una sconvolgente terza guerra mondiale che avrebbe potuto provocare, a causa anche della utilizzazione di armi nucleari o biologiche, la stessa estinzione del genere umano.

In realtà, l'«equilibrio bipolare» proprio della cosiddetta «guerra fredda» servì a garantire un «ordine mondiale», legittimo e legittimato, che permise la sopravvivenza di un equilibrio stabile delle potenze a livello planetario almeno fino all'inizio degli anni Settanta quando, grazie all'azione combinata del duo Kissinger-Nixon, si giunse a un equilibrio internazionale di tipo «tripolare» con il pieno riconoscimento della Cina di Mao come «terzo attore» internazionale: una prospettiva che, a ben vedere, sembra solleticare il nuovo presidente americano Donald Trump nella ricerca di una ripresa di centralità del ruolo degli Stati Uniti in una situazione nella quale Cina e Russia dovrebbero giocare a ruoli invertiti.

Con la caduta del Muro di Berlino si registrò, a livello internazionale, una situazione atipica che sembrò segnare la fine del «sistema bipolare» e la sostituzione dello stesso con un sistema caratterizzato dalla presenza di una sola super-potenza mondiale, gli Stati Uniti, consapevole e orgogliosa al tempo stesso del nuovo ruolo, imperiale o semi-imperiale. Si diffuse l'idea della fine della storia teorizzata dal politologo e filosofo Francis Fukuyama. Poi questo schema lasciò il posto all'altro, ad esso alternativo, dello «scontro di civiltà» elaborato da Samuel Huntington che sottolineava l'esistenza e l'inevitabilità di conflitti, prevalentemente etnici e religiosi, localizzati in territori di faglia. E, così, il nuovo ordine internazionale divenne una sorta di «disordine mondiale». In questo quadro l'idea di una possibile terza guerra mondiale riprese vigore anche se sostituita dall'ipotesi non già di uno scontro fra superpotenze nucleari ma dall'eventuale «effetto domino» di rappresaglie o attacchi da parte di fazioni non controllate né controllabili. In questo quadro, per esempio, si collegherebbero le preoccupazioni di studiosi come Robert Kagan che attribuiscono alla Russia o alla Cina il carattere di «paesi revisionistici» rispetto a un ordine internazionale percepito sempre più debole. Va, peraltro, sottolineato il fatto che le molteplici occasioni nelle quali sembrò che la linea rossa fra pace e guerra saltasse sono state, sempre, in qualche misura depotenziate. E ciò malgrado il fatto che vengano evocati, anche oggi, da politici dei Paesi più coinvolti i rischi di una possibile escalation del conflitto in atto fino al livello di una terza guerra mondiale. In proposito, però propaganda a parte , la storia ha dimostrato come sia possibile esorcizzare il timore, e il pericolo, di un terzo conflitto mondiale soltanto attraverso la definizione e la costruzione di quello che Kissinger ha definito un nuovo «ordine mondiale» che non si limiti a proclamare «principi universali» ma che presupponga una collaborazione effettiva, anche di tipo geopolitico.

Per quanto non ci sia più un Kissinger, con la sua saggezza e con il suo equilibrio fatto anche di una approfondita conoscenza della storia, e si senta la mancanza delle sue osservazioni fondate sul «realismo politico» e sul primato della diplomazia resta il fatto che l'Europa e gli Stati Uniti non possono marciare da soli e separati.

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