Se ogni minuto di una partita di calcio valesse un anno, messi tutti insieme farebbero la lunga, incredibile vita di Oscar Alberto Massei, leggendario «futbolista» argentino (ma di famiglia italiana da entrambi i rami) nato a Pergamino il 29 settembre 1934, bandiera fra i '50 e '60 dell'Internazionale e della Spal.
Un 90° compleanno tutto speciale il suo, festeggiato a Ferrara, fra i tifosi di oggi e gli amici di una vita, con la presentazione del libro «Oscar Massei. L'oriundo, il capitano, l'esempio», accattivante biografia scritta da Enrico Menegatti e uscita per Minerva (320 pagine illustrate, 20 euro). Con un retroscena che è lo stesso autore a svelare: «Oscar accettò a una condizione: andare a donare una copia a Papa Francesco, conterraneo, quasi coetaneo e grande tifoso del San Lorenzo de Almagro, per parlare con lui dei giocatori di un tempo. Ho promesso che lo faremo».
Storico capitano spallino, visse sotto la Madonnina la prima tappa italiana, voluto dal neo patron dell'Inter Angelo Moratti. La memoria torna, di là dall'Oceano, a un velato pomeriggio primaverile del 1955, quando Oscar, in forza al Rosario Central, fu raggiunto da Atilio Demaria, campione dell'Ambrosiana anni '30 poi talent scout nerazzurro: «Voglio portarti all'Inter, sei il giocatore giusto. Eccoti 160mila dollari di acconto». Era la classica offerta che non si poteva rifiutare, come ricorda Massei con lucida sincerità: «A dir la verità non conoscevo l'Inter. Ma avevo in banca 90mila dollari e ora me ne offrivano subito quasi il doppio: in Argentina era scoppiata la Revoluciòn libertadora, c'era tensione. Dall'Italia arrivava la mia famiglia, ora io ci ritornavo». Quell'aereo per Malpensa gli cambiò la vita. Così come le domeniche di molti tifosi nerazzurri, che dagli spalti restarono presto incantati dal tocco magico e dalle improbabili geometrie che sapeva inventarsi volando sull'erba. Qui la storia si riempie di miti: nomi immortali come quello di «Peppin» Meazza, con cui restava sul campo alla fine di ogni seduta per un'ora di «straordinario», accanto a personaggi meno noti ma emblematici di un calcio che non c'è più: il magazziniere Testa, l'uomo del «ghe pensi mi», o il massaggiatore Dellacasa, in arte «El Tumela». È una carrellata di ricordi: il primo incontro con Moratti; il primo allenamento; il primo derby, i primi gol che uniscono classe e genio. «Non ero un goleador - si schermisce - Ero però un attaccante completo, con velocità, fiuto e visione». Schietto ma garbato, in campo e fuori. In tutto furono tre le stagioni in nerazzurro, e quando se ne andò, per chiudere la carriera nella Spal di Paolo Mazza, fu un dispiacere per Milano. Città a cui è legato anche per un episodio che ha del miracoloso: era il 2009 quando, all'ospedale San Giuseppe per una tac al ginocchio, d'improvviso stramazzò al suolo fra lo sconcerto dei presenti.
Arresto cardiaco, ci vollero 45 minuti di rianimazione per riportarlo in vita.«Il cardiologo aveva perso le speranze, fu un vero prodigio. Potevo non tornare più o svegliarmi un po' picchiatello - scherza - invece 15 anni dopo eccomi ancora qui».
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