"Siamo trenta d’una sorte, e trentuno con la morte”, cantava il Vate degli italiani dopo la Beffa di Buccari. Forse una delle più temerarie azioni della Grande Guerra, che vide famosi “tre gusci”, ovvero tre i motosiluranti Mas, protagonisti dell’incursione navale furtiva che infiammò la baia dalmata e nemica. Una manovra di guerra che rese la Regia Marina pioniera nella storia, e che venne condotta dai Mas 94, 95 e 96, piccoli motoscafi in legno del tipo Orlando, armati di siluri, mitragliatrici e cannoncino. L'obiettivo? La Flotta austro-ungarica riparata nella baia chiusa tra il vallone del Quarnero e all'isola di Veglia che nonostante la sua "prudenza" minacciava di cannoneggiare Venezia.
Guerra moderna all'Impero d'Austria-ungheria
Lo scoppio del Primo conflitto mondiale portò l'Italia a far parte dell’Intesa che si era precedenemente coalizzata contro l'Alleanza degli imperi di Austria-Ungheria e Germania, di cui il Regno d'Italia faceva parte, coinvolgendola in una guerra che si consumò lentamente e sanguinosamente su un lungo fronte montano che andava dalle alture al confine con la Svizzera, alle rive settentrionali del golfo di Venezia, sino al Mar Adriatico: dove la Flotta della Regia Marina e quella austro-ungarica, la K.u.k. Kriegsmarine, si confrontarono per lo più in azioni mosse dal cosiddetto “naviglio sottile”. Lasciando campo più alle mine navali e ai sommergibili, che alle le vere navi da battaglia come corazzate e incrociatori.
Fu in questo quadro, dunque, che si sviluppò la tendenza a compiere "incursioni" di spirito corsaro attraverso l'impiego di piccole unità armate come i motosiluranti Mas. Una tra tutte, l'incursione lanciate nel dicembre del 1917, quando i Mas 9 e 13 forzarono il porto di Trieste e affondarono la corazzata austro-ungarica Wien. Dimostrando che incursioni come quelle potevano non solo alzare il morale degli italiani reduci dalla disfatta di Caporetto, ma potevano infliggere duri colpi al nemico che non aveva impiegato le sue corazzate, ma si temeva potesse schierarle a largo del Regno d'Italia con conseguenza letali. Per questo quando il 4 febbraio nel 1918 una ricognizione condotta da idrovolante su Pola, Fiume e Buccari segnalò la presenza di 4 navi nemiche nella baia dalmata, al comando della Divisione Navale di Venezia decisero di tentare un'altra di quelle temerarie incursioni.
Tre motosiluranti nel cuore del territorio nemico
Il raid, pianificato in precedenza, venne alla fine lanciato sotto il comando del capitano di fregata Costanzo Ciano nella notte tra il 10 e l'11 febbraio da tre motosiluranti Mas, rimorchiati e scortati un punto designato dell'Alto Adriatico per poi penetrare nelle acque nemiche e irrompere nella baia dove individuarono i loro obiettivi: quattro piroscafi. Dopo aver sferrato il temerario attacco - che in vero arrecò lievissimi danni al nemico, ma in compenso ebbe un'enorme effetto sul morale dell'Italia - le tre motosiluranti tornarono indenni nel porto di Ancona nell'alba che venne resa storica.
Grande merito appartenne al poeta Gabriele D'Annunzio, che era a bordo del Mas 96 comandato dal capitano di corvetta Luigi Rizzo, e che aveva gettato nelle acque del porto tre bottiglie cinte dal tricolore italiano. Contenevano un messaggio di sfida: "In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia".
Un beffa passata alla storia
Tale beffa fece capire agli austriaci non solo di che stoffa fossero fatti gli italiani, ma quanto fossero indifese le loro coste e le loro baie. Sarà comunque il comandate Rizzo ad infliggere alla Flotta Austro-Ungarica un durissimo colpo nel giugno del 1918. Quando al largo di Premuda silura e affonda la corazzata Szent István, proveniente dalla base di Pola e diretta verso il cosiddetto “Sbarramento di Otranto”.
Per la storia, comunque, è la notte della Beffa di Buccari quella in cui i marinai italiani "osarono l'inosabile". Un mito tramandato nella tradizione della nostra Marina e nella memoria dell'Italia intera grazie alle parole vergate dal Vate, che pure si era distinto per il suo coraggio nell'incursione aerea su Pola e avrebbe fatto ancora parlar di sé a Fiume.
A Trieste, Buccari e Premuda gli italiani fecero scuola di coraggio e tattica nel mondo. Quella tattica che ancora oggi viene impiegata per attaccare le grandi navi da guerra delle Flotta russa nel Mar Nero e nei porti di Crimea. Certo, ora sono droni guidati in remoto da audaci commando i protagonisti, non i tre gusci.
Cent'anni fa invece, l'incursione era fatta da uomini in carne e ossa, "..su tre tavole di ponte, secco fegato, cuor duro, cuoia dure, dura fronte, mani macchine armi pronte, e la morte a paro a paro. Eia, carne dal Carnaro! Alalà!"- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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