Esiste una versione affascinante, ma anche complessa da verificare, e per certi versi digerire, che riguarda all'affondamento della corazzata Novorossiysk. Colata a picco nell'ottobre del 1955 dopo essere stata squarciata da una terribile esplosione che la sorprese mentre era alla fonda nel porto di Sebastopoli. Penisola di Crimea.
A nulla valse il tentativo di far arenare lo scafo nelle acque basse del porto ordinato dal comandante in grande fretta. Dopo tre ore la corazzata si rovesciò e affondò con 600 anime a bordo. Ma cosa poteva aver causato l'esplosione? Si dirà una mina tedesca risalente alla Seconda guerra mondiale. Un residuato bellico mai rimosso, attivato da una frizione improvvisa. Nulla, nulla a che fare con la Guerra fredda che invece si combatteva per procura nei più remoti paralleli. Ma quella della mina è solo la "versione ufficiale" di come andarono i fatti. Esiste invece una versione "ufficiosa", e se vogliamo ben più affascinante, che lega l'affondamento della corazzata Novorossiysk a una operazione di sabotaggio clandestina. Mossa dall'attaccamento alla nave da guerra un tempo appartenuta a una patria sconfitta: l'ultima temeraria impresa di un gruppo di veterani superstiti di una formazione d'élite che ha insegnato al mondo come si affondano le navi del nemico. L'ultima incursione degli uomini della Xª Flottiglia Mas.
Non un’operazione segreta con un obiettivo strategico nel Mar Nero collegata a qualche trama indicibile che lega Cia e formazioni antesignane che hanno gettato le basi per strutturare organizzazioni come Gladio, dunque. Ma una vendetta di carattere romantico, seppur tragicamente letale.
La corazzata Giulia Cesare
Pochi sanno che il vero nome della corazzata Novorossiysk era Giulio Cesare. E che essa era forse la più importante unità da battaglia della Regia Marina italiana. Nave da guerra che il Paese sconfitto dovette cedere all’Unione Sovietica come "riparazione" per i danni di guerra. Una pretesa che portò oltre cortina anche la Cristoforo Colombo, nave gemella dell'Amerigo Vespucci, l'incrociatore Duca d'Aosta, due i cacciatorpediniere, tre torpediniere e due sommergibili. Un'ulteriore sconfitta per l'amor patrio. Un'onta per un Paese cobelligerante che si trovava a dover cedere unità da battaglia di tale valore simbolico a un avversario che si apprestava a diventare un avversario esistenziale dell'intero Occidente e di tutto ciò che l'Occidente rappresentava.
Orgoglio di quella Regia Marina che aveva terrorizzato gli Alleati con i suoi incursori - esperti sabotatori di grandi navi guerra - la Giulio Cesare, corazzata classe Conte Cavour, vantava 29mila tonnellate di dislocamento per una lunghezza di quasi 180 metri, con 12 pezzi d’artiglieria da 320 millimetri e altrettanti da 120mm. Dopo un essenziale ammodernamento, la Cesere prese parte a oltre 30 missioni di combattimento nel corso del secondo conflitto mondiale. Dando battaglia agli Alleati fino al 1943, e ai bombardieri tedeschi che tenteranno di affondarla nell’Adriatico mentre faceva rotta verso Taranto, dove sarebbe diventata unità combattente combelligerante.
L’affondamento di una corazzata sovietica
La notte del 29 ottobre, la corazzata Novorossiysk, in forza alla Voenno-morskoj flot, aveva appena terminato la manovra d’attracco alla boa numero 3 del porto di Sebastopoli, dopo un’esercitazione in alto mare. A bordo, tutti dormivano eccetto i marinai che montavano di guardia. Una situazione che ricorda quella delle navi da battaglia Hms Valiant e Hms Queen Elizabeth, al sicuro nel porto di Gibilterra. Intorno tutto tace. Poi, la terribile esplosione. Talmente potente da essere registrata sui sismografi della Crimea alle ore 01.31 del 30 ottobre 1955.
Una carica esplosiva di origine sconosciuta aveva provocato uno squarcio enorme sulla chiglia della Novorossiysk. L’acqua irrompe nello scafo, invade ogni paratia e, con grande velocità, arriva fino a inclinare la corazzata a tribordo. Si stima che almeno 150 membri dell’equipaggio siano già morti. Ma il vascello corazzato è ancora manovrabile, per questo il comandante della flotta, tale Ovcarov, ordina di portare la Novorossiysk in un punto in cui l’acqua è poco profonda. La corazzata si arenerà e non sarà perduta. Tuttavia, un particolare non trascurabile renderà inutile ogni tentativo: il fondale del porto di Sebastopoli è coperto da uno strato fangoso di almeno 15 metri. Per questo motivo, nonostante la manovra, la Novorossiysk si capovolge e affonda con a bordo gran parte dell’equipaggio che, a causa di un grave errore degli ammiragli che negarono il permesso di sbarcare, si trovava ancora a bordo.
Una mina tedesca
La versione ufficiale, diffusa dopo l’indagine condotta da una commissione speciale, attribuisce l’affondamento all’esplosione di una mina magnetica tedesca non bonificata, rimasta nascosta nel fondale fangoso. Ne verranno recuperate una ventina di mine magnetiche tedesche. Per certi versi, si potrà dire che la baia di Sebastopoli ne era disseminata. Tuttavia, un dettaglio non torna: le batterie magnetiche dell’epoca avevano una durata inferiore di 3 anni rispetto alla data in cui una di queste poteva essere stata “attivata”. Inoltre, l’esplosione che ha portato all’affondamento della Novorossiysk, registrata dai sismografi. Inoltre, l’esplosione che ha portato all’affondamento della Novorossiysk, registrata dai sismografi, è stata equivalente a 1.200 chili di Tnt. Una capacità superiore a quella di una mina tedesca. Secondo quanto riportato, molti marinai e ufficiali della Marina sovietica pensarono fin dal primo momento che si fosse trattato di un’azione di sabotaggio. Ma era possibile che una nave da guerra sovietica fosse stata sabotata in territorio sovietico?
L'ipotesi dell'ultima incursione della Xª Mas
Tutti sono al corrente, in Italia e nel mondo, delle eroiche incursioni della Xª Flottiglia Mas, l’unità d’élite di incursori sommozzatori e nuotatori d'assalto della Regia Marina italiana che, durante la seconda guerra mondiale, portò a termine leggendarie azioni di sabotaggio utilizzando i famosi siluri lenta corsa o, attraverso l’azione dei singoli “uomini gamma”, compiendo imprese belliche straordinarie.
Ebbene secondo alcune teorie supportate da collegamenti logici, testimonianze e documenti consultati da storici e ricercatori come Luca Robustini, autore del libro “Il mistero della corazzata russa. Fuoco, fango e sangue”, dietro l'affondamento della Novorossiysk potrebbe esserci la mano di un gruppo di reduci, esperti incursori, che scelsero la via della vendetta e arrivarono in Crimeao sotto copertura, a bordo di un piccolo mercantile e che trasportava un carico di arance. Il libro di Robusti è basato su documenti della Marina Militare, del Ministero dell’Interno e su informazioni declassificate dalla Cia. Ma è soprattutto l'intervista di Ugo D’Esposito, ex incursore del Gruppo Gamma ed "esperto di codici cifrati", nonché ex agente dei servizi segreti, a dare consistenza a questa oscura ma affascinante ipotesi. “Siamo stati noi, noi della Decima Mas. Nessuno voleva che il Giulio Cesare finisse ai sovietici, quindi doveva essere affondato”.
Secondo D’Esposito, che non prese parte all’azione, quella notte d’ottobre, nelle acque del Mar Nero c’era sicuramente Eugenio Volk, mentre Junio Valerio Borghese, già impiegato dagli americani in funzione anticomunista e estremamente vicino al controspionaggio dell'Oss (il servizio segreto americano precursore della Cia, ndr), J. Jesus Angleton, ne era certamente al corrente. La versione del sabotaggio per mano di incursori italiani viene accreditata anche nel libro “Requiem per una corazzata” dello storico russo Nikolaj Cherkashin. Eugenio Volk cita come membri del commando di sabotatori i veterani Gino Birindelli, Elios Toschi e Luigi Ferrario. Secondo il russo, il principe nero Borghese fu solo il coordinatore dell’operazione. Per parte sua Gino Birindelli liquidò l'intera ricostruzione della vicenda come una "fantasia".
Un "punto critico" in questo mistero
È interessante notare che l’esplosione è avvenuta in corrispondenza della 42esima paratia, un noto "punto critico" della nave, generato dall'allungamento della stessa durante l'ammodernamento del 1937. In quel punto erano presenti "numerose saldature". La Xª Mas aveva peraltro una discreta conoscenza del porto di Sebastopoli. Questo risale al periodo 1941-1942.
Come scrive correttamente l’ex ammiraglio Andrea Mucedola, “la ritrosia dei presunti protagonisti di questa azione” potrebbe essere dovuta “all’elevato numero di vittime umane”. D’Esposito è morto nel giugno 2014. Tutti gli incursori che avrebbero preso parte all'ultima impresa della Xª Flottiglia Mas lo hanno preceduto. Se l'impresa che si consumò nel porto di Sebastopoli fu davvero l'ultima temeraria azione degli assaltatori italiani è un mistero.
Un mistero
che rimarrà relegato alle acque poco profonde della Crimea. Acque dove trovarono la morte, seppure in tempo di pace, 604 marinai russi. Nemici ideologici. Certo. Ma non avversari di una guerra guerreggiata a volto scoperto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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