Inizio con polemica per il nuovo romanzo di Umberto Eco appena arrivato in libreria. Ieri le copie fresche di stampa, e corredate di un errore nel codice Isbn, avevano appena iniziato a occupare gli scaffali e le vetrine che già Il cimitero di Praga (Bompiani, pagg. 526, euro 19,50) iniziava a incassare bordate polemiche e accuse pesanti. Prima fra tutte quella di antisemitismo, ovviamente involontario. E forse cera da aspettarselo, vista la trama. Al centro della narrazione cè un personaggio inventato, Simone Simonini, che di professione falsifica documenti: a un certo punto capisce che il miglior modo di far soldi è prendersela con gli ebrei, odiati tanto a destra quanto a sinistra, e iniziare a produrre quei falsi che porteranno dritti dritti ai Protocolli dei Savi di Sion. Un antieroe, quindi, difficile da maneggiare, tanto più che tutti i comprimari che gli si muovono intorno sono invece storicamente esistiti. E così è finita che qualcuno ha trovato Simonini troppo accattivante.
A sparare sul best seller predestinato, in primo luogo è LOsservatore Romano con un lungo articolo della storica Lucetta Scaraffia. La critica è già sintetizzata nella titolazione: «Un racconto morboso e senza condanna dellantisemitismo». Nella recensione, la Scaraffia ha argomentato così le sue perplessità: «cè il rischio che le continue descrizioni della perfidia degli ebrei facciano nascere un sospetto di ambiguità, certo non voluta da Eco ma aleggiante in tutte le pagine del libro. A forza di leggere cose disgustose sugli ebrei, il lettore rimane come sporcato da questo vaneggiare antisemita, ed è perfino possibile che qualcuno pensi che forse cè qualcosa di vero se tutti, proprio tutti, i personaggi paiono certi di queste nefandezze». Una mazzata così pesante da far sembrare insignificanti gli appunti di stampo letterario: «Appena ci si immerge nella lettura, ecco la delusione... del feuilleton non ha la trama avvincente, i personaggi appassionanti, lintreccio...».
Non bastasse, Eco ha subito gli strali on line anche di Pagine Ebraiche, il mensile delle comunità ebraiche italiane, che ha pubblicato un puntuto intervento di unaltra storica, Anna Foa. Per la Foa lidea di un romanzo la cui trama è incentrata sulla fabbricazione di falsi documenti e che mescola arditamente le vicende di personaggi veri e falsi è pericolosa: «La costruzione di Eco volta a smontare un falso non arriva, per una strana eterogenesi dei fini, a ricostruirlo? E, se ci si poteva divertire sugli eretici e le streghe de Il nome della rosa, riusciremo a farlo con innocenza anche di fronte alla genesi del libro che ha alimentato il progetto di sterminio di Hitler e che ancora viene considerato in molte parti sì un falso ma comunque un falso verosimile, un falso che esprime una verità?».
Forse Eco aveva messo in conto queste accoglienze. Ieri sullEspresso ha rilasciato unintervista doppia in compagnia del rabbino Riccardo Di Segni che suona un po come una difesa preventiva. Eco infatti chiarisce da subito i suoi scopi, il messaggio: «La gente ha bisogno del nemico. Lo faccio dire ai miei personaggi, agenti dei servizi. Chi è il nemico? Il diverso... lebreo». Una scelta apprezzata da Di Segni: «Il libro dimostra che certe tesi possono servire ogni volta che si vuole fare male a qualcuno». Eppure, per quanto bello, il libro qualche dubbio nel religioso lha destato: «Penso che il messaggio di Eco sia ambiguo... Il problema è che non si tratta di un libro scientifico che analizza e spiega... è un romanzo». Ed Eco così risponde: «Sono cosciente delle ambiguità... Ma la mia intenzione era quella di dare un pugno nello stomaco del lettore».
Meno male per Eco che almeno Gad Lerner, più aduso alla finzione letteraria e alle sue necessità, su Repubblica si è schierato dalla sua parte.
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