Il Popolo della libertà nazionale lancia l'altolà, ricordando che l'acronimo Pdl non può essere usato senza autorizzazione. Il Pdl siciliano ribadisce il concetto, scomunicandolo così di fatto. Ma lo strappo, ormai, è realtà. Sì, perché dopo mesi di lotte intestine, messaggi a distanza e tentativi di conciliazione risultati evidentemente vani, il Pdl Sicilia, il gruppo che fa capo al sottosegretario alla Presidenza Gianfranco Miccichè e che, pur professando fedeltà al premier Berlusconi, prende le distanze dal partito soprattutto a livello regionale, diventa realtà. Debutta in una sede illustre, il Parlamento siciliano. Ed è un gruppo consistente, visto che tra ex di Forza Italia fedeli al sottosegretario ed ex di An legati al presidente della Camera Gianfranco Fini, dovrebbe arrivare a contare ben 16 deputati su 90. Quasi quanti i cosiddetti lealisti del Pdl, che di parlamentari a questo punto ne conterebbero18.
Dunque è rottura. L'epilogo di una guerra più o meno sotterranea, culminata nello scontro aperto qualche mese fa, con la crisi a sorpresa del governo regionale guidato da Raffaele Lombardo, che alla parte del Pdl di Miccichè è vicino. Sì, perché sono due gli schieramenti che si contrappongono: da un lato appunto Miccichè, il fondatore in Sicilia di Forza Italia, l'uomo che nel 2001 regalò a Berlusconi un splendido 61 a 0 nell'Isola; dall'altro i cosiddetti lealisti, che a livello nazionale fanno capo al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al presidente del Senato Renato Schifani, e i coordinatori regionali del partito, Giuseppe Castiglione e Domenico Nania, anche loro in rotta di collisione con Miccichè. Alla base della guerra, che culmina nello strappo, proprio la gestione del partito in Sicilia, fortemente contestata da Miccichè. Spiega, in un post sul suo blog, Sud, lo stesso sottosegretario: «Ebbene sì, ci siamo. Si costituirà all'Ars il Pdl Sicilia. È davvero il passo decisivo, un passo verso la schiarita definitiva all'interno del partito siciliano, che oggi, più che un partito, è una torre di babele, dove leader e leaderotti parlano, ognuno, un linguaggio politico differente; dove regna l'incoerenza di coloro che sventolano la bandiera della semplificazione politica, ma non si preoccupano di attaccare a piè sospinto un governo dove siedonoanche assessori di loro riferimento. È da qui, cioè dalla coerenza dei comportamenti - scrive Miccichè - che deve cominciare quel processo, senza dubbio virtuoso, di semplificazione della politica ed è da qui, dalla nostra esigenza di coerenza, che nasce il gruppo del Pdl Sicilia: perché la gente rischia di non capirci più nulla. A me interessa - prosegue - che la gente sappia che c'è una parte consistente, anzi maggioritaria, del Pdl
siciliano che, pur mantenendosi fedele al progetto Berlusconi, sente il bisogno di distinguersi da una gestione del partito che è da definire ribelle, perchè assolutamente antitetica ai valori di coerenza, lealtà, libertà e capacità cheBerlusconi portò con sé, quando decise di scendere in campo e fondare Forza Italia».
Parole pesantissime. Miccichè ricorda pure che «anche dentro Forza Italia c'erano dissidi, contrasti, diversità di vedute e faide, ma mai il partito si è mostrato disunito nei momenti importanti. Ma ci sedevamo attorno a un tavolo, discutevamo, ci confrontavamo, ci scontravamo. Una funzione che il Pdl siciliano ha inesorabilmente smarrito».
Il Pdl nazionale, come si diceva, lancia l'altolà: «Il coordinamento nazionale del Pdl - informa una nota - preso atto della situazione siciliana, invita i promotori del Pdl Sicilia a soprassedere dall'iniziativa, poiché il simobolo e nome relativi al Popolo della Libertà sono nell'esclusiva disponibilità del partito e la costituzione di un gruppo Pdl può essere autorizzata solo dal partito stesso.
Anche il coordinatore siciliano Giuseppe Castiglione lancia «un ultimo appello all'unità». Ma il dado, ormai, sembra tratto.
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