Nell'articolo di Paolo Giordano (pubblicato lunedì 14 novembre) vengono riportati alcuni numeri inesatti, messi a disposizione da Audiocoop, che sarebbe bene precisare.
Nel ricordare che stiamo parlando di un mercato dominato dalla musica italiana che nel 2021 ha occupato tutta la top ten annuale tra album e singoli, vale la pena di affermare che non corrisponde al vero che la musica passata in radio sarebbe per il 90% di proprietà di multinazionali. In realtà i dati di SCF (società di gestione dei diritti musicali), sul rendiconto del trasmesso radiofonico nel 2021, mostrano una quota di mercato delle major inferiore al 75 %.
Un altro dato inesatto riguarda la perdita di posti di lavoro nel settore musicale che, secondo Audiocoop, avrebbe perso 90 mila occupati. Secondo il bilancio di Federculture, nei due anni di pandemia, sono andati persi 55 mila posti di lavoro in tutto il settore dello spettacolo. Nell'industria discografica italiana, grazie agli investimenti delle aziende, nessun posto è stato perso, ma molti nuovi occupati hanno trovato una collocazione. Allo stesso tempo gli investimenti sugli artisti, nel corso della pandemia, sono cresciuti.
Altro dato non corrispondente al vero è che la produzione indipendente non sarebbe remunerata dal digitale.
In realtà, come conferma lo studio di Midia, società di ricerca internazionale, grazie allo streaming, la produzione indipendente e gli artisti senza contratto hanno visto crescere la propria quota di mercato mondiale, in termini di fatturato, del 27%. Inoltre, in Italia, la crescita del numero di artisti che hanno raggiunto il successo di vendite tra il 2011 e il 2021 è triplicata, garantendo un rinnovamento generazionali significativo al settore.
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