"Al Jolani ha una lista con 40mila nomi. No alle esecuzioni mirate e alla sharia"

Il vescovo di Homs Jacques Murad, nel 2015 ostaggio dell'Isis: "Qui i cristiani hanno paura, non possiamo passare da un dittatore a un altro"

"Al Jolani ha una lista con 40mila nomi. No alle esecuzioni mirate e alla sharia"
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Denuncia le esecuzioni sommarie e rivela che il nuovo corso ha una lista di 40mila nomi di siriani, collaborazionisti del regime di Assad, che vuole eliminare. Spera in una Siria libera per tutti e non accetta uno stato islamico con la sharia, che farebbe scomparire i cristiani già decimati dall'esodo. Jacques Murad vescovo di Homs, che nel 2015 è stato ostaggio dei tagliagole del Califfato, non ha paura. Ad Homs, «capitale della rivoluzione», le lunghe file spettrali di edifici ridotti a macerie ricordano quanto sai stata pesante la guerra.

Il vescovado dove intervistiamo padre Murad in esclusiva fa parte della chiesa dello Spirito Santo, che ha già pronto il presepe e l'albero di Natale.

I cristiani come affrontano questo Natale, il primo senza Assad dopo mezzo secolo?

«I cristiani hanno paura, ma è nostro dovere tenere forte la fede del nostro popolo e incoraggiare le celebrazioni del Natale con tanta speranza. Stiamo entrando nell'anno del Giubileo consacrato alla speranza».

Qual è la speranza per la Siria?

«La nostra speranza è che diventi un Paese libero, grazie ad una Costituzione, dove tutti sono uguali. Non più un solo uomo al comando. Basta, questo periodo è finito. Sentiamo veramente la gioia della libertà».

C'è il rischio di vendette?

«Certo, ma questa è una prova. Non dobbiamo seguire la strada della paura. Oggi siamo noi che possiamo scegliere come vivere e con quale governo».

È preoccupato che si scelga la strada sbagliata?

«Dei delegati del governo (di salvezza nazionale, nda) sono venuti ad incontrare noi vescovi di Homs (il 14 dicembre, nda). Il giorno prima avevo ricevuto una lista di nomi di una ventina di cristiani di al Qusair, al confine con il Libano, obiettivo di rappresaglie (l'accusa è di avere collaborato con il regime, nda). Al Qusair è una città simbolica essendo stata la prima scintilla della rivoluzione. I rivoluzionari, però, si erano macchiati di atti di violenza e tortura. Quando il regime ha ripreso il controllo ha fatto ancora peggio, come in tutta la Siria. Adesso vogliono reagire nello stesso modo. Questo non va bene».

Cosa hanno detto i rappresentanti di al Joulani?

«Il responsabile della delegazione ha risposto dicendo che hanno una lista di 40mila persone che vogliono uccidere. Sono rimasto choccato, non me l'aspettavo. Il primo giorno dell'arrivo

a Damasco, Ahmed al Shara (il vero nome del leader del nuovo governo, nda) ha dichiarato che bisognava chiudere con il passato per iniziare un nuovo cammino per la Siria. Se reagiranno allo stesso modo violento del vecchio regime è un tradimento della rivoluzione. Non è più accettabile vivere sotto la tortura e il terrore».

E nella sua città ci sono rappresaglie?

«Ad Homs entrano nelle case uccidendo gli alawiti (il clan di Assad, nda) e se ne vanno. Nessuno sa chi siano perché sono mascherati, ma si tratta di sunniti. Anche se avessero partecipato al massacro perpetrato dal regime bisogna processarli con una corte indipendente nel rispetto dei diritti dell'uomo. Il nuovo governo sostiene che si tratta di azioni individuali. Non ci credo».

Le esecuzioni sommarie sono inevitabili?

«Devono fermarle subito. Non vogliamo passare da una dittatura a un'altra».

Lei è stato confratello di padre Paolo Dall'Oglio, il gesuita italiano sparito nel nulla dal 2013. Che fine ha fatto?

«Speravamo che fosse nelle prigioni del regime (dopo essere forse fuggito dalla detenzione dell'Isis a Raqqa, nda), ma non abbiamo ricevuto alcuna notizia. Penso che non sia ancora vivo. Bisogna cercare il corpo. È terribile che ancora oggi siano nascosti i resti mortali di padre Paolo».

Teme che la Siria diventi uno stato islamico?

«Il popolo siriano non accetta di vivere sotto la sharia, in un Califfato. Un sistema che non funziona per questo Paese. Siamo una nazione composta da diverse confessioni ed etnie. Non si può imporre un sistema che si basa su una sola religione a un popolo così diverso e ricco di cultura».

Se non ci sarà una transizione accettata da tutti e venisse scelto lo stato islamico cosa faranno i cristiani?

«I cristiani rimasti sono già pochi. Non esiste un numero preciso, ma siamo al massimo in 300mila rispetto ad oltre un milione e mezzo di prima della guerra.

Intere città e villaggi sono stati abbandonati. Nel Nord della Siria, dove erano maggioranza, oggi sono pochissimi. Se la Siria diventasse un Califfato si realizzerà il progetto di svuotare il Medioriente dai cristiani».

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