Sulla 95 un viaggio verso sud tra sogni mancati e modernità

Oggi parliamo della linea 95, la transoceanica del Profondo Sud. Il sogno di una mai realizzata circonvallazione esterna a quella della linea 90-91 si incontra qua e là per Milano. Tronconi di quella circonvallazione, raccordi tra nuovi pezzi di città cresciuti un po' dovunque, assi capaci di includere entro una forma ordinata, circolare, i borghi e gli agglomerati che via via si erano uniti alla città - tutti questi tratti viari hanno sempre obbedito alla tendenza a formare nuove cerchie, permettendo a Milano di crescere il più possibile ordinatamente.
Detto altrimenti: in mancanza di altri principi e piani ordinatori, è stata la forma stessa di Milano a offrire uno spunto contro il possibile caos. Un pezzo di questa circonvallazione è quello percorso dalla linea 95 per gran parte del suo cospicuo percorso, che va da piazzale Lotto alla stazione di Rogoredo. Fino a piazzale Corvetto, infatti, esiste una lunghissima direttrice, abbastanza coerente, che comincia dalle parti di piazzale Segesta per continuare con i nomi, tra gli altri, di viale Aretusa, viale B. D'Alviano, viale Famagosta, viale G. Da Cermenate, via Quaranta.
La 95 corre lungo questa via fatta di tanti pezzi e progetti diversi, ma comunque reale, esistente. E ci fa incontrare una Milano fatta anch'essa di pezzetti, di piccoli progetti, di idee, di aborti di idee, di veri e propri atti criminosi e di raccordi caotici in un sud cittadino tanto stretto quanto complicato a causa dei tanti fattori: dalla presenza della ferrovia alla guerra, dalla necessità di costruire in fretta senza tanti soldi al fatto - decisivo - che in uno spazio (tra il Duomo e il fertilissimo territorio noto oggi come Parco Sud) che non si può espandere le funzioni delle stesse vie, quartieri, zone sono costrette a cambiare nel tempo. Dove c'erano uffici e capannoni sorgono case d'abitazione, dove c'era una fabbrichetta sorge un quartiere nuovo, e così via, e questo non già in pompa magna (come avviene oggi con i grandi progetti City Life o Porta Nuova) ma poco a poco, quasi all'insaputa del resto della città.
Inizio il mio percorso a piedi, da piazzale Lotto - dove saluto un McDonald's che sembra un distributore di benzina - lungo la garbata via Gavirate, esempio di quella tranquilla mediocrità condominiale che Milano, per fortuna, non ha mai realizzato, anche se albergava in un angolino della sua testa. Giungo in piazzale Segesta, divisa in due: da un lato un principio di cantiere che vuole introdurre modernità verso S. Siro e, dall'altro, verso sud, l'inizio di un grande progetto di edilizia popolare che abbraccia diverse vie e piazze, dove si alternano esempi virtuosi e cose da codice penale. Un tremendo torrione simile a un silos, non ancora finito di costruire, rende bello perfino un enorme casamento popolare anni Sessanta, che gli sorge vicino. Un bellissimo giardino di aceri e cedri occupa il centro di viale Mar Ionio, mentre i caseggiati che lo costeggiano ci raccontano storie diverse: migliori quelli più vecchi, simili a carceri quelli realizzati negli anni Settanta, ispirati alla famigerata Unité d'Habitation (bellissima lei, terribile il modello) di Le Corbusier a Marsiglia.
Il viale sbocca nell'ampia quadrangolare piazza Selinunte che sta al centro esatto del grande progetto di cui si parlava. Molti edifici popolari sono addirittura belli: sia una parte di quelli che si affacciano sulla bella piazza, sia quelli lungo le vie contigue, come viale Aretusa, il cui primo tratto presenta edifici che, dopo anni di pesante degrado, cominciano a mostrare i degni di una volontà di recupero. Milano è piena di quartieri così: guai a eliminarli, se ne andrebbe un pezzo di storia.
Qui salgo sulla 95 e proseguo per un tratto meno interessante, che tocca piazza Bande Nere e prosegue lungo la borghesuccia via Bartolomeo D'Alviano, dove occhieggiano condomini altezzosi dalle rifiniture eccessive. Oltrepassato il Naviglio Grande la 95 percorre via S. Rita da Cascia, costeggiando un quartiere (sulla sinistra) che mi riprometto di visitare. Da piazza Miani, strano insediamento urbano che un tempo dovette trovarsi staccato dal corpo di Milano, si prende viale Famagosta, si attraversa il Lambro Meridionale, si oltrepassa il Naviglio Pavese in un tratto ben risistemato e si imbocca l'ampio viale Giovanni da Cermenate, che ci appare come l'epicentro di tante, diverse linee di tensione. Edifici d'antan, modeste abitazioni moderne, complessi monumentali come la bianchissima «Ricevitrice Elettrica», lo sbocco di quartieri fino a ieri malfamati (come via Brioschi).
Ancora qualche fermata e, in prossimità di via Ripamonti, scendo per esplorare una via straordinaria, l'obliqua via dei Fontanili, antica strada di campagna sorta lungo le rogge che alimentano la Vettabbia, che corre vicina. Siamo nel vecchio borgo detto Morivione, un nome che risale al Trecento e la cui storia ci si rivelerà alla fine della via.
L'inizio di via dei Fontanili è pessimo. Due passi e ci troviamo nel famigerato quartiere - pensato da una mente criminale e approvato da un assessore ancora più criminale - stretto intorno a Largo Caccia Dominioni, dove il tassista Luca Massari, reo di avere investito un cane, fu massacrato di botte dai fratelli Stefania e Luigi Citterio e da Michael Morris Ciavarella: tre individui che sembrano il parto naturale di questi edifici sinistri, specie di carceri con balconi che non prevedono fiori, e su cui fioriscono solo antenne paraboliche a mitigare la tristezza infinita del vivere. Di Massari resta una piccola croce fatta con uno zoccoletto battiscopa con foto e qualche lumino. Difficile non piangere.
Ma via dei Fontanili prosegue in un disordine allegro, tra edifici nuovi, officine, condomini decorosi e vecchie cascine riattate, talvolta farcite di superfetazioni come certe statue del Budda, talvolta ben risistemate sullo sfondo della vecchia Vettabbia (che concede ancora scampoli di idillio) o dei nuovissimi edifici sorti sull'area della ex-Om, con annesso parco, passeggiata e pista ciclabile. Il tutto in pochi metri. Sembra impossibile, ma Milano è proprio così.
Chiudiamo con l'edicola che sorge alla fine di via dei Fontanili e dedicata ai Prodi di Morivione. Un attraente ristorante, denominato "antica trattoria", fronteggia questo paesaggio tra il nostalgico, l'agreste e il postmoderno dove la cappelletta votiva ci promette una storia come solo Milano sa raccontare. Sembra che nel luogo dove sorge la cappelletta nel Trecento fosse stato teso dalle guardie un agguato a tal Livio, o Livione, una specie di bandito buono, un Robin Hood della Vettabbia che rubava ai ricchi per dare ai poveri (si vede che le banche non erano ancora state inventate!). Anche lui fu ucciso a botte, ma la popolazione del borgo, che lo amava, non lo lasciò senza preghiere e senza un saldo ricordo, tanto da dare al borgo il suo nome: Morivione, ossia: dove morì Livione.
Molti dubitano dell'autenticità della storia. Però i Prodi di Morivione sono esistiti nel tempo, e la cappella ne porta nomi e cognomi.

Tra questi non ho visto il nome di Luca Massari, e forse è il caso di mettercelo: lui è l'ultimo angelo di questa città. Chissà che la città non abbia, prima o poi, la buona idea di dedicare a lui, che non può tornare, uno degli slarghi che si aprono su questa splendida via.

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