Sulla casa di Montecarlo la Procura difende Fini

Le carte incastrano Fini: ora deve lasciare. E' l'epilogo: il timbro ufficiale arriva da Santa Lucia. Ora anche il Corriere chiede le dimissioni del leader Fli. La Camera è in mano al leader di un partito d'opposizione. I pm soccorrono Fini: "Prove irrilevanti". SONDAGGIO Adesso cosa farà Fini?

Sulla casa di Montecarlo la Procura difende Fini

Milano - Dopo la tempesta il silenzio. Non una parola. Da Santa Lucia sono arrivate le carte che provano che Giancarlo Tulliani è il proprietario della casa di Montecarlo. Ma dal presidente della Camera, Giancarlo Fini, neanche un cenno di risposta. D'altra parte non ce n'è bisogno. A rispondere ci ha pensato la procura di Roma che si è schierata in difesa del leader Fli proprio quando anche il Corriere della Sera ha rotto ogni indugio e ha chiesto nel fondo di Sergio Romano le dimissioni dalla presidenza di Montecitorio. I pm romani hanno infatti definito "irrilevati" i documenti di Santa Lucia. In realtà, il problema non cambia. Gli italiani si aspettano ancora che Fini mantenga fede alla promessa fatta il 25 settembre: "Se dovesse emergere che la casa di Montecarlo è di Tulliani, allora mi dimetterò".

Il ruolo di presidente della Camera Al tempo il Giornale era stato accusato di dossieraggio. Al tempo si diceva che l'affaire monegasco altro non fosse che una montatura. Al tempo si accusava il nostro quotidiano di inseguire fantasmi in estate, quando le notizie scarseggiano. I colonnelli del Fli avevano addirittura puntato l'indice accusandoci di una macchinazione creata per demolire Fini. I fatti ora dimostrano il contrario. Da Santa Lucia sono arrivate le carte (autentiche) che provano che "le società off shore coinvolte nella compravendita della casa monegasca sono di Giancarlo Tulliani". Ora è tutto nero su bianco. L'inchiesta è chiusa. Avendo fatto parte di Alleanza nazionale, politici come Maurizio Gasparri sono così costretti a prendere atto che "quel patrimonio non è stato sempre utilizzato nella maniera appropriata". Ad accorgersene c'è pure Romano che sul Corsera si interroga sul ruolo del presidente della Camera partendo da quel 25 settembre 2010 in cui proprio Fini "disse che se la casa, venduta dal suo partito, fosse risultata appartenere al fratello della sua compagna, non avrebbe esitato a dimettersi". Ma le dimissioni tardano ad arrivare.

Le prove incastrano Fini Il video parla chiaro. E ora che le prove ci sono il leader di Futuro e Libertà difficilmente potrà evitare di farci i conti. Secondo Romano, infatti, "corriamo il rischio di impelagarci in una situazione in cui le sorti di una delle maggiori cariche istituzionali italiane dipendono da fattori estranei alle esigenze della vita politica nazionale". In realtà, non corriamo il rischio. E' già così. Un problema che da alcuni mesi a questa parte i parlamentari di Pdl e Lega chiedono allo stesso presidente Fini di affrontare in un dibattito aperto in Transatlantico. Dibattito che l'ex An ha sempre censurato. Da quando Fini si è messo fuori dal partito e dal governo, infatti, il suo ruolo è divenuto incompatibile con le sue funzioni istituzionali. "Certi sdoppiamenti sono da evitare - si legge sul Corriere - ma i regolamenti parlamentari  non permettevano di obbligarlo alle dimissioni e la prova di una promessa dipende, dopo tutti, dal modo in cui è mantenuta". Uno sdoppiamento a cui il capogruppo del Fli, Italo Bocchino, non crede: "Fini è membro del Parlamento e come tutti ha il diritto di chiedere le dimissioni del premier. E' invece assurdo che il capo del governo chieda le dimissioni di chi presiede un istituzione che difende l’operato del Parlamento".

I giudici corrono a difenderlo Il silenzio di Fini è giustificato. Non ha bisogno di difendersi. Ci pensa la procura di Roma a "stracciare" le carte inviate da Santa Lucia. Nelle deduzioni che hanno accompagnato la trasmissione degli atti al gip che dovrà pronunciarsi sull’opposizione alla richiesta di archiviazione delle posizioni di Gianfranco Fini e di Vincenzo Pontone, i pm romani fanno sapere che il contenuto degli atti inviati dal governo di Santa Lucia circa la titolarità delle società off shore che si sono succedute nella proprietà dell’immobile di Montercarlo ereditato da An nel 1999 "appare del tutto irrilevante circa il thema decidendum". Non importa se nelle tre pagine arrivate dal paese caraibico emergerebbe che Tulliani è il titolare delle società Printemps Ltd, Timara Ld e Jaman directors Ltd. Nelle deduzioni inviate al presidente dei gip Carlo Figliolia, che il 2 febbraio esaminerà l’opposizione alla richiesta di archiviazione, la procura di Roma ribadisce "la richiesta di archiviazione" dal momento che mancano "elementi costitutivi dell’ipotizzato delitto di truffa".

La credibilità di Fini Tuttavia anche Romano invita Fini a "chiedersi se le circostanze gli consentano di esercitare questa funzione nel miglior modo possibile". Secondo il governo e la maggioranza la risposta è "no". Lo dimostra l'impasse che si è venuta a creare nel Copasir, dove con un colpo di mano Fini è riuscito a dare la maggioranza all'opposizione. Lo dimostrano le secche e ripetute minacce al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a "dimettersi" dopo il fango del caso Ruby. "Ogni sua decisione istituzionale - avverte anche Romano - nelle prossime settimane, potrebbe diventare ragione o pretesto di sospetti e accuse". Il calendario dei lavori, la durata dei dibattiti e il diritto di parola di un deputato. E ancora: i tempi di una singola interrogazione."Tutto ciò che rappresenta il lavoro quotidiano di un presidente della Camera - chiarisce Romano nel suo editoriale - portrebbe trasformarsi in materia di contestazione e complicare ulteriormente la situazione politica".

Le dimissioni diventano doverose La promessa fatta con tutti gli italiani non lascia più spazio a tentennamenti. Le prossime mosse del presidente della Camera e leader di uno dei partiti d'opposizione non sono però scontate. Fini potrebbe infatti fare finta che le carte di Santa Lucia non esistano e andare avanti a fare politica dallo scranno più alto di Montecitorio. Oppure potrebbe decidere di dimettersi e tenere fede alla parola data ai cittadini il 25 settembre scorso. Nel frattempo, però, Montecitorio resta nelle sue mani. E i lavoro parlamentari rischiano di essere viziati.

Il leader leghista Umberto Bossi invita ad "abbassare i toni" e "fare meno casino". Ma, intanto, l'anomali resta. E, per dirla con le parole di Romano: "Il vero problema è se la casa Italia, in queste condizioni, possa essere decorosamente amministrata nell'interesse di coloro che la abitano".

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