Sulla ruota di Ruggeri escono il rosso e il nero

Questa storia te la porti appresso sulla pelle, nelle vene, e vale anche per chi non l'ha vissuta, per chi verrà, per chi si sforza di dimenticarla, per chi si crede immune.

Sulla ruota di Ruggeri escono il rosso e il nero

Questa storia te la porti appresso sulla pelle, nelle vene, e vale anche per chi non l'ha vissuta, per chi verrà, per chi si sforza di dimenticarla, per chi si crede immune. Si ripete, scavallando gli anni e i secoli, ogni volta che qualcuno sfoga rabbia e rancore, spacciandoli per verità, o perché semplicemente conviene specchiarsi in un nemico. Ti definisce e fa rumore e ti fa sentire al centro della scena. È fratricida. Nessuno è innocente. Non lo sono i neri e neppure i rossi. Solo i cani sciolti ne verranno risparmiati, ma pagando con gli interessi la loro fame di libertà.

Ti sembra quasi di ascoltarla, mentre leggi, quella voce un po' rauca, impastata di tabacco, che racconta e poco alla volta segna volti, strade, case, quartieri. È Milano e ci sono ancora le macerie della guerra e la voglia di rialzarsi, di cercare una vita come tante e con l'idea che puoi solo andare verso il futuro, perché tanto non hai più niente da perdere. È una ragazza ancora da marito e un uomo che ora deve trovare il tempo per sposarsi. È un amore che si fa presto famiglia e sono due figli nati a distanza uno dall'altro, perché è scontato che sia così e non c'è da aver paura. Può solo andare meglio. È la famiglia Scarrone e non c'è imbarazzo a definirla borghese. Madre professore e padre pure, ma accademico, insegna letteratura all'università. Un appartamento a Milano e una casa sul lago di Como per le vacanze. Si parte in 1100. I figli sono prima due, due maschi, Mario e Vincenzo e poi dopo cinque anni arriva la bambina, Aurora. «Dove si sta in quattro si sta bene anche in cinque». È come quello sceneggiato con Enrico Maria Salerno e Valeria Valeri che qualche anno dopo darà agli italiani l'immagine serena di una casa italiana. Cosa può mai nascondere la Famiglia Benvenuti? Niente, se non che il figlio dolce e saggio ha il volto di un ragazzino che si chiama Giusva e farà una vita a mano armata.

È da qui, da questa calma apparente, che comincia Un gioco da ragazzi (La nave di Teseo). È il romanzo che Enrico Ruggeri ha scritto durante i giorni di quarantena. È una storia vissuta, sedimentata, con cicatrici ancora da decifrare. Di certo c'è che l'innocenza viene persa di nuovo con quella bomba a Piazza Fontana e poi è piombo, sangue e barricate. È il nostro rouge et noir che sembra non passare mai. È il mistero di due fratelli che si ritrovano divisi senza possibilità di redenzione. Come si sceglie da che parte stare? Dove sta la chiave che spezza, quando siete cresciuti allo stesso modo e nella stessa famiglia? Il sangue diventa odio e non è detto che ci sia una ragione. Capita. Capita perché prendi una porta scorrevole, perché Vincenzo è stato stregato da Quicksand di David Bowie e Mario magari no, perché ti viene da gridare in faccia a chi parla e parla e non la smette mai sono stato punk prima di te. Com'è che la vita ti cambia lo sguardo?

Non c'è una risposta. Non c'è metafisica e forse non ci sono neppure buoni e cattivi. La sola cosa che puoi fare è cercare una via di uscita. La strada è quella di Aurora, il cuscinetto tra i due fratelli, che rammenda e ricuce e quando tocca a lei costruirsi la vita segue un sentiero dove nessuno ti dice da che parte devi stare.

È la scelta che ha fatto anche Enrico Ruggeri, l'autore di questa storia.

Non ha inseguito l'ossessione, ma si è lasciato incantare dalla magia. È andato a recuperare il senno e lo ha trovato nella musica. Ha scommesso tutto sull'incognita apparente di uno zero, un solo punto verde tra il rosso e il nero. Rien ne va plus.

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