Il palcoscenico del Teatro degli Arcimboldi a Milano è abbastanza grande per ospitare l'energia di Stewart Copeland, un'orchestra di ventisette elementi, una band virtuosa (con i due «Elii» Faso al basso e Vittorio Cosma al pianoforte, per dire) e un bel pezzo di storia della musica raccontata da canzoni come Roxanne, Message in a Bottle, Don't Stand So Close To Me, Every Breath You Take e insomma i più bei classici dei Police, la band che tra la fine dei Settanta e la prima metà degli Ottanta voleva conquistare il mondo e ce la fece. Tutto questo accadrà oggi venerdì 18 ottobre con «Police Deranged For Orchestra», che più o meno suona come «i Police scompigliati per orchestra». Al centro di tutto c'è ovviamente lui, un mammasantissima dei tamburi che oggi può permettersi di dire: «Io virtuoso? Macché, il mio segreto era usare libertà e follia. Oggi ci sono tanti ragazzini che mi bagnerebbero il naso». Sarà, ma quegli slalom tra pop, punk e reggae che si beffavano delle regole da studio di incisione e che, dal vivo, aumentavano anche di più, sono una firma indelebile per chiunque ami quella divinità pagana chiamata ritmo.
Una band trio essenziale declinata in sinfonia: come nasce il progetto?
«Da molto tempo mi dedico a colonne sonore di film. Per un film sui Police stavo maneggiando vecchi video in Super8 e, ripassando i backstage in studio e le nostre esibizioni live mi è venuta l'idea. Portare le armonie bellissime scritte da Sting sull'orchestra. Che, detto tra noi, è il più bello strumento del mondo. Mettersi alla sua guida regala un senso di onnipotenza».
Dunque nel repertorio non ci sarà la sua Miss Grandeko, che spiccava per freschezza nell'album Synchronicity?
«Magari in futuro la farò ma la verità è questa: quando arrivai a Londra e fondai i Police avevo due idee, conquistare il mondo e essere il compositore della band. Poi mi si presenta questo Sting, ascolto un paio di suoi brani e mi dico: è fatta».
Quando parla di Sting, la sua voce è un misto di stima e di sottintesi. Si dice che tra voi fossero scintille musicali, ma non solo.
«Tutto vero. Io, lui e Andy ci sentiamo ancora. Basta evitare di parlare di musica e della band, e concentrarsi sui nipotini e le cose di casa».
Si dice anche che non le andasse a genio il narcisismo di Sting.
«Diciamo che lui, se passa davanti a uno specchio una controllatina veloce per vedere se è tutto a posto se la dà. Io no. Ma ai tempi d'oro aveva ragione lui: se dovevamo conquistare il mondo, come ci dicevamo, oltre alla bravura serviva essere carini».
Nessuna possibilità per una seconda reunion dopo quella del 2007?
«Diciamo che c'è la probabilità del 99,9% periodico che questo non accada».
Lei è il fondatore ufficiale dei Police: quella storia è andata esattamente come voleva? O sarebbe potuta proseguire per qualche anno?
«Direi che è andato tutto secondo i piani. E ci consideriamo tutti e tre molto fortunati ad aver vissuto quella storia».
Tra i suoi progetti futuri cosa c'è?
«Per due anni mi dedicherò alla composizione di un musical tratto da un celebre bellissimo libro, ma non posso dire altro».
Il suo rapporto con l'Italia è antico: dall'infatuazione per la taranta pugliese all'esordio della sua opera musical «The Witches Seed» nel nostro paese, e nella quale figurò nel cast anche la nostra Irene Grandi. Se dovesse spiegare il suo amore per l'Italia in poche parole?
«Due in inglese, tre in italiano: olive
oil, olio d'oliva. Ma in realtà c'è una nuova scoperta che mi ha cambiato la vita e sto diffondendo tra tutti i miei amici musicisti: cedratatassoni. Pazzesca».La pronuncia tutta così, d'un fiato: e anche questo è ritmo.
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