Gian Marco Chiocci - Simone Di Meo
L’uomo-chiave nelle indagini della Dda di Napoli sul pallone sporco è un tipo coi baffi, sulla sessantina, capelli sale e pepe. Si chiama Salvatore Lo Russo, è un camorrista. Anzi, un capo camorra di quelli pericolosi. Di quelli che hanno comandato anche nel calcio e che poi si pentono perché non vogliono marcire in cella. Suo nipote Antonio è stato immortalato in una foto pubblicata ieri dal quotidiano Il Mattino mentre assiste a bordo campo alla partita Napoli-Parma finita all’attenzione della Procura federale per l’anomalo boom di scommesse, raccolte dai guappi del clan Lo Russo e degli Scissionisti tra il primo e il secondo tempo, sulla sconfitta degli azzurri.
E proprio sulla base di questa foto la Procura di Napoli potrebbe adesso aprire un nuovo fascicolo. Lo Russo, insieme a Luigi Giuliano, è stato l’inventore del calcio-scommesse clandestino. L'inventore non solo, ma anche il conoscitore più profondo, fino a tre anni fa (quando lo hanno sbattuto in galera) del sottobosco illegale delle puntate sicure. Lui si occupava della materiale elaborazione delle quote, lui di fatto creava il “palinsesto” della domenica sportiva.
Lo racconta lo stesso boss, soprannominato ‘0 capitone, ai magistrati Sergio Amato ed Enrica Parascandolo, nel corso di uno dei primissimi interrogatori, tenutosi nella casa circondariale di Milano Opera, il 20 ottobre 2010. «Per quanto riguarda le scommesse clandestine, si trattava di una mia esclusiva attività. Anzi, si tratta della cosa della quale mi sono occupato sin dagli anni Ottanta, ma gli introiti, così come le perdite, non confluivano mai nella cassa comune (fondo di ripartizione dei profitti delle attività illecite tra i clan di Secondigliano, ndr)... Ero io stesso a fare le quote che, ad un certo punto, diventarono quelle che venivano distribuite in tutta Napoli. Le scommesse le raccoglievo innanzitutto nella nostra zona ma, sempre in quegli anni, da un certo momento in poi, entrai direttamente sui Quartieri Spagnoli al 50 per cento con Ciro Mariano, detto 'o picuozzo. In ogni caso, capitava spesso che, quando a coloro i quali gestivano il gioco in altre zone venivano proposte scommesse per alti importi, questi per non rischiare più di tanto le giravano direttamente a me».
Il boss, dunque, per la capacità finanziaria e, soprattutto, per il carisma e l'autorità indiscussa in materia, è una sorta di broker assicurativo per le filiali delle altre cosche. A lui fanno riferimento quanti intendono “mettersi al riparo” da eventuali perdite per una puntata particolarmente rischiosa. «Ricordo che però, ad un certo punto, mi tirai fuori dai Quartieri Spagnoli in quanto accadde una cosa strana che neanche capii, ma che non mi piacque. Avevo perso 300 milioni delle vecchie lire e nessuno me li mandava a chiedere, sebbene la gente che aveva scommesso chiedesse di incassare le vincite. Poiché tenevo al mio nome in città, mandai direttamente i soldi a quelle persone senza dunque la mediazione dei Picuozzo, ma non volli più avere a che fare con loro». Lo Russo spiega, inoltre, che il business del calcioscommesse non si è fermato nemmeno quando in Italia è stato legalizzato il gioco d'azzardo sulle partite di calcio.
«Tale attività», continua nel suo racconto il Capitone, «è poi durata negli anni, fino a quando sono stato arrestato, sebbene modernizzatasi nel senso che ormai mutuavo direttamente le quote di Eurobet che ritengo siano quelle fatte meglio. Ovviamente, diffusisi i centri di raccolta delle varie agenzie, autorizzate o meno, sul territorio nazionale non mi sono più occupato della raccolta delle scommesse di importi lievi, dedicandomi solo a quelle di importi elevati non inferiori almeno a 1000 euro. Ovviamente, ci sono puntate di importi elevatissimi che possono giungere anche sino a un miliardo delle vecchie lire prima e 500mila euro poi che talvolta erano anche il prodotto delle scommesse fatte da più persone di intesa tra loro». E, a tal riguardo, all'ex boss sovviene un episodio preciso: «Ricordo che, in occasione dei campionati europei del 1996, poiché nessuno bancò la partita Italia-Germania io lo feci e raccolsi circa 970 milioni delle vecchie lire. Feci ciò in società con Michele Armento. La partita finì 0-0 e ricordo anche che l'Italia sbagliò un calcio di rigore e fu anche espulso un giocatore della Germania».
Il racconto di Salvatore Lo Russo si arricchisce di ulteriori particolari.
«La gestione delle scommesse di calcio l'ho sempre chiusa annualmente in positivo e stimo il guadagno medio annuo in 400/500 milioni delle vecchie lire… Negli anni successivi, ho conosciuto calciatori ma non li ho mai coinvolti in nulla. Diventai molto amico di Maradona, che frequentava spesso casa mia, ma solo perché diceva di trovarsi bene in mia compagnia e solo in un paio di occasioni mi ha chiesto se potessi procurargli della cocaina per uso personale». I ricordi del Capitone sul Pibe de Oro si fanno sempre più nitidi. «Maradona l'ho conosciuto tramite Pietro Pugliese e Gennaro Montuori, detto Palummella. Maradona si rivolse a me nell'occasione in cui subì il furto di una ventina di orologi e del Pallone d'oro. Gli feci recuperare gli orologi tramite Peppe 'o biondo che li trovò presso i Picuozzi dei Quartieri Spagnoli, mentre non fu possibile recuperare il Pallone d'oro». Perché? Semplice. Ammette l'ex boss che lo «avevano già sciolto».
Il tentativo di Lo Russo di recuperare il trofeo dell'amico
campione attinge alla più classica delle mediazioni di camorra. «Mandai ai Quartieri 15 milioni di lire che, però, mi furono poi mandati indietro. Ricordo che uno tra gli orologi che mi mandarono non apparteneva a Maradona».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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