da Cannes
Perfino Quentin Tarantino - uno che viveva di ricordi, almeno cinematografici - ha infine constatato che «i nuovi film italiani sono deprimenti». L'ha detto da Cannes a Tv sorrisi e canzoni in edicola oggi, aggiungendo: «Le pellicole che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali. Parlano solo di adolescenti, di coppie, di genitori in crisi, di vacanze per minorati. Che cosa è successo? Ho amato così tanto il cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta e alcuni film degli Ottanta e ora è tutto finito. Una tragedia. Nanni Moretti porta energia vitale, ma l'Italia non è più quel che era. Potrei fare liste di nomi di registi che mi piacciono, provenienti da molti Paesi: dallItalia no».
Equa analisi del cinema detto «due stanze e cucina» per l'angusto - ed economico - spazio delle vicende. Detto dal regista idolatrato per un decennio (il film presentato giorni fa a Cannes l'ha ridimensionato) da certa critica e, ahimè, da largo pubblico per Pulp Fiction, Palma d'oro nel 1994; detto dal presidente di giuria del Festival di Cannes nel 2004; detto dal «tutore» massimo della rassegna veneziana Storia segreta del cinema italiano, il giudizio diverrà finalmente opinione comune. L'evocazione di Moretti serve non tanto ad elogiarlo, ma a ricordare che è il solo italiano, salvo Gabriele Muccino, ad avere un mercato internazionale.
Il cinema italiano ha smesso da tempo di essere un'industria che talora produce arte, per diventare un commercio che talora produce soldi. L'arte è un ricordo. Ma tanti hanno fatto finta di non vedere. Ci sono sempre gli exploit, ma Tarantino negli Stati Uniti non li può vedere, perché la loro distribuzione internazionale è modesta; lo è anche spesso quella nazionale, perciò spesso non li vede nemmeno - ed è peggio - il pubblico italiano. Si tratta di due/tre titoli l'anno, che ai grossi festival partecipano, anche a quello di Cannes, come nel caso dell'Amico di famiglia di Paolo Sorrentino, l'anno scorso: per averci creduto, mettendolo in concorso, il Festival s'è fatto linciare dalla stampa francese. Avrebbe dovuto farsi linciare ancora per quel che gli è stato proposto quest'anno, con la convinzione che ci tocchi di diritto quel che non tocca nemmeno a cinematografie più serie e prolifiche della nostra, come quella cinese e quella indiana? L'atteggiamento da nobili decaduti è il più sterile. Il cinema tedesco è stato fuori dal giro grosso per un ventennio. Ci è tornato recentemente per uno sforzo congiunto, pubblico e privato. Lo vedete in Italia?
Quel che sottolinea Tarantino, la somiglianza fra le storie, però non è vero solo per il cinema italiano. Da spettatore, lo stesso Tarantino è stato un adepto della serialità; da regista l'ha praticata e la pratica sfrontatamente. Qualcuno dei suoi precedenti ammiratori ora glielo rinfaccerà. In effetti Tarantino si lamenta di una serialità solo perché non è la sua, quella del cinema d'azione.
Ciò detto, «il re è nudo». Facile sbeffeggiare un politico italiano che approfitta della concomitanza del Festival di Cannes per dichiarare che il cinema italiano è un parassita. Meno facile replicare a uno, Tarantino, che ha fatto i suoi incassi, ed è stato adottato dalla Mostra di Venezia come alfiere americano, pieno di riconoscenza per il nostro cinema di ieri.
Domani, per qualche settimana, sui giornali di cinema si parlerà poco o niente. Fra un mese ricomincerà il tormentone che precede la Mostra di Venezia e si annunceranno miracoli al Lido. Lo faranno rinascere questo e quello, con quel film o con quell'altro. Poi a fine agosto verrà la Mostra e si vedrà che non è così.
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