La "Tasmania" di Giordano è un'apocalisse (di noia)

Fra viaggi, attentati e crisi i protagonisti sono pieni di ansie sul clima e il pianeta. E cercano un rifugio...

La "Tasmania" di Giordano è un'apocalisse (di noia)
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«Se proprio dovessi scegliere, sceglierei la Tasmania. Ha buone riserve di acqua dolce, si trova in uno stato democratico e non ospita predatori per l'uomo». È un pensiero dell'ultimo romanzo di Paolo Giordano, edito da Einaudi, che si intitola Tasmania (pagg. 272, euro 19,50). Sembra un romanzo di denuncia di quello che sta facendo l'uomo al nostro pianeta (già me ne sarebbe fregato poco), sembra un romanzo su quattro amici che invece di andare al bar vanno in Tasmania, per paura di un'apocalisse nucleare, climatica, batteriologica. Invece no, la Tasmania non c'è. Ognuno cerca la sua Tasmania, qui, dentro di sé (ma davvero?). Nel caso specifico tra conferenze scientifiche, dibattiti giornalistici, l'amico del protagonista, il climatologo Novelli, accusato di sessismo per una conferenza in cui afferma che le donne scienziate smettono a trent'anni di produrre ricerche interessanti, a differenza dei maschi (perché molte si sposano, hanno figli, eccetera), che diventa indifendibile (è il personaggio più simpatico).

In ogni caso tutto un andirivieni tormentato tra Roma e Parigi, tra Parigi e il Giappone, tra attentati islamici e proteste ambientaliste e crisi coniugali e l'oceano che tra cento anni si alzerà di cinquanta centimetri e i negazionisti che negano il cambiamento climatico, dove sei personaggi in cerca di autore o un autore in cerca di personaggi stanno lì a risolvere i problemi delle proprie vite pensando al futuro del pianeta. La trama è questa. Non c'è. Perché non c'è nulla di interessante nelle ansie apocalittiche di questi tizi senza terra ferma. Ma soprattutto non c'è una storia. Anche se il libro è scritto in modo tale che vai avanti pensando che succeda qualcosa, almeno qualcuno uccida qualcuno, oppure vadano tutti in Tasmania e Putin la bombardi con un'atomica.

Un figlio che non viene alla coppia di protagonisti, nonostante decine di inseminazioni artificiali, ci rinunciano, bene per il figlio, con due genitori così che vita avrebbe avuto. Un bullone che potrebbe staccarsi da un satellite, che si distruggerebbe e produrrebbe una nuvola di detriti che viaggiano a trentamila chilometri orari e colpirebbero tutti gli altri satelliti in un effetto domino (si chiama sindrome di Kessler), «e una parte potrebbe anche precipitare sulla Terra, come una specie di pioggia di asteroidi». Ma cosa dici Paolo, brucerebbero prima nell'atmosfera. La stessa Stazione spaziale internazionale verrà fatta precipitare, ma nulla ci arriverà in testa. Casomai resteremmo senza segnale per cellulari e Gps, una catastrofe, certo, per me che non esco mai di casa e vivo di wifi sarebbe la fine. Non comunque una ragione per andare in Tasmania.

Alla fine questi smandrappati scientifici vanno pure a Hiroshima, avendo finito le apocalissi si mettono a pensare all'apocalisse atomica, perché «il 6 agosto di settantasette anni fa la porzione di Hiroshima che contempliamo da qui venne trasformata all'istante in un rogo piatto di macerie. E di tutto ciò che vediamo ora, con l'eccezione delle colline, non esisteva nulla». Con annessa colpevolizzazione degli americani, perché in effetti la guerra potevano farla andare avanti altri cinque anni contro i giapponesi nazisti (neppure dopo Hiroshima si sono arresi, faccio notare).

Mai un libro che rappresenti la tragedia dell'universo fisico e biologico in cui viviamo, mai un libro che non sia intriso di denunce della tecnologia e di Tasmanie interiori (una volta c'era l'India, per ritrovare se stessi, tornare qui e rompere le scatole a tutti, era meglio non lo trovavi te stesso), ma sempre centrato sull'uomo, la colpa dell'uomo, come se senza uomo la Terra se la fosse passata bene, con cinque grandi estinzioni di massa. Fatto sta che questi qui hanno bisogno di apocalissi, il nuovo passatempo del bovarismo intellettuale. Non sono millenaristi religiosi, sono millenaristi scientifici, ma la sostanza non cambia. Anche perché non capirò mai chi si preoccupa della sorte della specie umana tra cento, duecento o mille anni, quando saremo già morti noi. Ci vuole un altruismo metafisico che nessun individuo umano ha. Anche perché comunque tutto è destinato alla fine. Combattiamo il surriscaldamento globale, certo, basta che non mi togliete Netflix e la Playstation. Tuttavia Giordano è buono e sensibile e frequenta tutte persone buone e sensibili che vogliono migliorare il mondo ma non possono. Non avendo altro da fare si scavano Tasmanie dentro, senza peraltro riuscirci.

L'Einaudi, in copertina, la spara grossa: «La forza con cui ci chiama a ogni pagina è la rifrazione naturale fra ciò che accade fuori e dentro di noi», con il

protagonista del romanzo, alter ego dello stesso Giordano, che «è un uomo attento e vibratile». Talmente vibratile da scrivere il romanzo apocalittico più noioso che sia mai stato scritto, l'apocalisse la vive tutta il lettore.

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