"Onegin" alla scala, che potenza la scuola russa (voci e direzione)

Applausi per i cantanti e il direttore Zangiev, pubblico meno convinto dalla regia "cinematografica"

"Onegin" alla scala, che potenza la scuola russa (voci e direzione)
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C'è il "sapere del pubblico", il "sapere dei musicisti", il "sapere dei critici". Ognuno metta in fila come vuole questi "saperi", ma alla fine, a ben vedere, questi possono coincidere, o differire di poco. A volte. Ieri sera, la Prima alla Scala dell'opera (o scene liriche) di "Eugenio Onegin", dal romanzo dello scrittore Puskin, musica di Cajkovskij (1882-1969) - regista Mario Martone - per certi versi ha allineato un po' tutti. Il gradimento alle voci, un cast quasi tutto russo - da Alisa Kolosova (in scena la vedova Larina) a Andrzej Glowienka (contadino), passando per il protagonista Alexey Markov (Onegin) - è stato quasi unanime, probabilmente. La dimostrazione: gli applausi arrivati, più o meno spontaneamente, nei diversi "quadri" dello spettacolo; non capita sempre che il pubblico si "sbilanci" durante la rappresentazione. Gradimento ancora più alto per le voci in primo piano, diciamone solo alcune, quella del tormentato Onegin, senza dubbio; di livello il tenore Vladimir Lenskij (nel personaggio Korchak), il basso Dmitry Ulyanov (il principe Gremin) e via così, poi il contralto Elmina Hasan (Ol'ga figlia di Larina, "soggetto" d'amore - che diverrà impossibile -), e via così. Ovazioni, a fine spettacolo, all'uscita degli artisti, coi critici dietro alle quinte, soddisfatti, a parte qualche "osservazione" pungente. Passa l'"esame" il direttore nella buca, il giovane Timur Zangiev, moscovita, classe 1994 (lo ricordate? ha sostituito Gergiev, durante l'invasione dell'Ucraina e relative polemiche): dall'orchestra da lui preparata, con "polso" - scuola russa, ricordiamo - suoni limpidi, dinamicità, buona esposizione, proiezione sostenuta, evidente; in termini di dinamiche qualche minuscolo eccesso dei fiati sui violini ma nulla più. Applausi anche per lui. Voci e musica, immagini (di Margherita Palli), movimenti scenici, tutto messo insieme dal regista Mario Martone, il quale ha portato anche la sua visione cinematografica, ca va sans dire. Fin dai primi istanti: dopo l'apertura con le donne in campagna - con la "casetta dei libri", che per certi sembra un luogo senza tempo, per altri una dimora lasciata metà nel nulla rurale - ecco un balletto stile "musical" (perché no?), artisti vestiti con abiti dei giorni nostri; scelta che resterà, per gran parte dell'opera, in questa versione. Di effetto, l'enorme velo rosso formato sipario che copre la festa, bello il salone delle feste con le dame vestite di nero, belle le danze e i movimenti, un po' meno il finale "tronco"... con Onegin disperato con la testa fra le mani, un approccio forse un po' troppo scarno, dal sapore "verista"; si poteva fare di più? qualcuno si domanda in platea. Una fetta di pubblico alla fine ha mostrato di non gradire certe scelte, dopo gli applausi a cantanti e direttore è partito un lungo "buuuuu". A parte le reazioni di "pancia", un grande spettacolo di qualità (al Teatro alla Scala fino all'11 marzo, info: www.teatroallascala.org) ; inutile dilungarsi sulla storia della musica, di Cajkovskij, semplicemente meravigliosa, per chi ama la melodia e prova piacere a "struggersi"; siamo ben lontani dalle precedenti atmosfere wagneriane affrontate con "Le valchirie" opera proposta sempre dal Piermarini, recentemente.

Siamo nel periodo in cui il grande compositore e grande orchestratore del periodo tardo-romantico Cajkovskij - notissimo per sinfonie e balletti - penserà fortemente all'Opera (si ricorda anche "La dama di picche"), genere che eserciterà su di lui grande attrattiva e fascino.

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