Un'allieva del liceo Manzoni ha posto ieri a Luca Argentero - attore di Moncalieri (Torino), venuto a Milano da Roma per presentare se stesso e una rassegna del Festival di Roma («Alice nella città») - la domanda alla quale anch'io, critico cinematografico, pensavo da quando Argentero aveva premesso la proiezione di Mery per sempre di Marco Risi all'incontro del Manzoni. La domanda era: «Perché proporre qui la storia di un riformatorio palermitano, girata in siciliano e senza sottotitoli, anziché in italiano?». Risposta di Argentero: «Non ci avevo pensato».
Trentenne, affermatosi con la terza edizione del Grande fratello e poi con qualche fortunato film-tv e infine con qualche film, incluso Saturno contro di Ferzan Ozpetek, cresciuto all'ombra proprio di Marco Risi, normalmente Argentero non organizza spettacoli: vi partecipa. Logico che non si chieda che cosa funziona qui e che cosa funziona là.
Meno logico è che ciò non si siano chiesti gli altri intervenuti all'evento, peggio: che alcuni di loro abbiano rumoreggiato contro l'allieva. Infatti, la sua domanda era assolutamente pertinente e perfettamente in tema. Al liceo Manzoni, ieri, si proponeva infatti ai residui frequentatori dei cinematografi, i liceali appunto, non solo la continuità del cinema italiano, ma anche quella di uno dei maggiori festival italiani e il ruolo determinante della principale rivista italiana di cinema (Ciak, rappresentata dal direttore Piera Detassis, che conduceva l'incontro). E perché tutto continui, non perché tutto langua, come adesso, occorrono progetti, ambizioni, non velleità.
Dimostrando di valere più dei rumoreggiatori e degli insegnanti che li hanno tranquillamente lasciati fare, Argentero ha tenuto conto della domanda della studentessa nel prosieguo. Ha infatti ricordato che il cinema è «democratico», nel senso che ogni spettatore sceglie il suo proprio film: se opere scadenti «incassano anche venti milioni di euro», significa che il pubblico quello vuole. Il dignitoso Mery per sempre non incassò, in lire, nemmeno un quinto.
Meno felice è stata la «nostalgia» del '68 manifestata dallattore piemontese. Non per ragioni personali (è nato nel 1978), ma per ragioni professionali, visto che interpreta l'ancora inedito Il grande sogno di Michele Placido (che in Mery per sempre era un attore), film che spera di essere ammesso al prossimo Festival di Cannes.
«Non dovete aver paura di sognare che vi capiti qualcosa di bello», ha detto l'attore, soffermandosi sul fatto che lui aveva avuto «botte di c...» in carriera. E ha sostenuto il «diritto alla felicità», con un ottimismo che gli si può perdonare per l'età. E, ovviamente, per le «botte» di cui prima.
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