Il tempo secondo Krug. "Bisogna essere pronti ma non avere fretta"

La chef de cave della maison, Julie Cavil, ci racconta le sfide di lavorare per un brand blasonato

Il tempo secondo Krug. "Bisogna essere pronti ma non avere fretta"
00:00 00:00

Dal nostro inviato a Reims

Julie Cavil è la prima donna chef de cave di Krug, brand leggendario della Champagne e una delle poche «ragazze» a rivestire il fatidico ruolo di chi decide gli assemblaggi di una maison, anche se il vino più celebre del mondo proprio ad alcune donne lega il suo mito e la sua storia (dalla vedova Clicquot in poi). È arrivata in Champagne quasi per caso, dopo aver studiato enologia da fuori corso quando era già mamma e con un passato da pubblicitaria. Bionda, gentile, ironica, sguardo deciso, rifiuta con forza l'idea che ci sia uno specifico femminile nel vino più amato del mondo ma è chiaro che la sua grazia si sposa a meraviglia con l'eleganza di Krug. La incontriamo a Reims, nella sede dell'azienda, in occasione di Krug Behind the Scenes, l'evento annuale nel corso del quale vengono svelate le nuove cuvée, in questo caso la Krug Grande Cuvée 173ème Édition e il Krug Rosé 29ème Édition.

Julie, sente il peso della responsabilità di «creare» ogni anno i vini che rappresentano un brand come Krug?

«No. E le dico perché. Io non penso mai al mio ruolo, io non sono mai sola, e quando mi dicono chef de cave qui, chef de cave lì, mi viene da ridere. Lo chef de cave fa soltanto gli ultimi dieci metri di un lavoro di squadra. Se io sono brava è perché il vino base è buono».

Qual è l'essenza di Krug?

«La maestria, l'alto artigianato sono al cuore della maison Krug. Ogni giorno rendiamo omaggio al frutto, al vino e all'individualità di ogni parcella della terra, così sentiamo la responsabilità di preservarla. La sostenibilità è una cosa naturale per noi. Portare il sogno di Joseph Krug nel futuro significa rispettare i suoi principi fondamentali con gli strumenti e le risorse di oggi e di domani».

Come un brand come Krug affronta le difficili sfide attuali del mondo del vino?

«Le racconto questa: durante il Covid chiudemmo le porte della maison il 15 marzo 2020. Da quel momento ci impegnammo a fare un piano A, un piano B, un piano C, ricalcolammo tutto, facemmo ipotesi, pensammo di prendere grandi decisioni. Poi però ci rendemmo conto che per chi fa vino una grande decisione presa oggi dà i suoi risultati tra dieci anni. E chi può sapere che cosa sarà nel 2030?».

E quindi?

«Quindi alla fine la cosa migliore è restare sordi a quello che accade attorno, e non farsi influenzare da quello che accade nel breve periodo. Conta solo il tempo lungo».

A proposito di cambiamenti, come quelli climatici stanno cambiando la Champagne?

«Bella domanda. Nella viticoltura si calcola di avere una brutta annata ogni cinque, ma ora è diverso, solo pensando agli ultimi anni abbiamo avuto condizioni difficili nel 2024, nel 2023, nel 2021. Magari adesso avremo cinque anni senza problemi, ma chi può dirlo? È certamente vero che ora ci sono fenomeni più estremi e questo vuol dire che la maturazione delle uve avviene più velocemente, poi si arresta perché fa troppo caldo, poi addirittura torna indietro, e queste non sono buone condizioni, a noi piacerebbe naturalmente una maggiore regolarità».

E come si può porre rimedio a tutto questo?

«Bisogna assaggiare, assaggiare continuamente. Avere fiducia nei propri assaggi. E poi aspettare. Certo alle volte è un rischio aspettare, ma per prendere la giusta decisione bisogna saper rischiare».

Quanto conta la prontezza in condizioni climatiche estreme?

«Vendemmiare nel momento perfetto è sempre più difficile. Abbiamo migliorato la logistica per avere sempre disponibile un grande gruppo di vendemmiatori locali che possano iniziare, smettere, riprendere facilmente. E comunque l'ossessione per l'esatta data della vendemmia risale a molto tempo fa, ora noi siamo abituati molto di più di altre maison a rivedere continuamente i nostri piani».

Siete più felici quando la vendemmia vi porta a vini base molto differenti o quando c'è una certa uniformità?

«Io preferisco sempre la diversità, che dà più possibilità al momento dell'assemblaggio.

Poi certo, dipende dalla percentuale di uve meno buone, quelle noi dobbiamo rifiutarle perché non abbiamo un secondo vino in cui convogliarla ma solo una cuvée prestige. E una cuvée prestige deve sempre essere nell'eccellenza».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica