René Lacoste: diventare un coccodrillo

L’estroso francese fu molte cose insieme: tennista chirurgico, inventore mai sazio, imprenditore visionario. Tutto nel segno del rettile

René Lacoste: diventare un coccodrillo
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Dal vetro lievemente appannato intravede ogni giorno la stessa immagine. Fuori è il solito traffico di anime che erompe in mattine ancora da stappare. Addensati contro la parete del negozio, infilato in uno dei quartieri più patinati di Boston, lo attendono impazienti i suoi tre compagni di squadra. René Lacoste però ne ha ancora per qualche minuto. Preme quel naso prominente contro la vetrina, ammaliato dalle fattezze esotiche di un elegante borsone in pelle di coccodrillo.

Esausto, il capitano della squadra francese di Coppa Davis, Pierre Gillou, picchietta sulle sue spalle. “Se ti piace così tanto te la compro io, a patto che tu vinca le prossime due partite”. René socchiude le palpebre, immaginando mentalmente di infilare le sue racchette di legno nel borsone. Poi sistema la scriminatura dei capelli impomatati sorprendendosi nel riflesso di fronte a sé e si avvia con il resto della comitiva. Non vince, ma l’aneddoto giunge all’orecchio di un cronista americano che, il giorno dopo la debacle, titola cubitale: “Sconfitta per l’alligatore francese”. In Francia la ribattono con eccessiva disinvoltura. Per un errore di traduzione, il rettile accostato a René diventa il coccodrillo. Non è la stessa cosa, ma ormai il giornale è stampato. Lacoste lo sfoglia qualche giorno più tardi in un consolatorio caffè parigino e se ne compiace.

Nastro progredito di botto. Riavvitando un po’ la cinepresa, il quadro si fa più nitido. Agli inizi del Novecento questo ragazzino dal fisico affusolato ed elegante sgrana spesso gli occhi, sedotto dallo sport praticato da sua sorella. Jean - Alida maneggia la racchetta da tennis in scioltezza, ma non è certo destinata ad abbagliare. René strattona la giacca del padre, un indaffarato e facoltoso produttore di automobili. Vuole tentare anche lui. Il genitore dapprima dissente, poi stringe un patto: se all’età di diciott’anni non sarà ancora diventato un campione, se ne dovrà andare a lavorare in azienda.

Lacoste

E Lacoste, sia chiaro, non è un talento naturale. Non è stato partorito in un flûte di buonasorte tennistica. Non è cresciuto all’ombra di qualche illuminato maestro. Le stimmate del campione di sicuro non ce le ha. Però possiede altre cose. Un piano. Tanti libri sul tennis. Un muro di cemento da crivellare di colpi. Si allena per mesi interi rispondendo a sé stesso. Si impone standard rigidissimi. Studia minuziosamente il gioco avversario, fino a indovinarne le fessure. In partita non è il migliore per talento, né per eleganza. La sua tattica però è sublime. Il suo approccio allo sport chirurgico.

Giocare contro di lui equivale presto a sedersi dal dentista. Lacoste diventa subito, per i suoi contendenti, quel muro contro il quale si è sfinito per interminabili ore. Non importa quanto gli altri siano più bravi di lui. René respinge al mittente ogni colpo. Ti costringe a giocare allo specchio. Ti sfinisce con una strategia cinica e accerchiante, per poi infliggerti la stoccata finale. Il suo tennis è il gioco sadico del rettile con la preda.

Dunque eccolo qui, a qualche anno di distanza da quella promessa sospesa, al fianco di quegli altri tre: Toto Brugnon, Henri Cochet e Jean Borotra. La squadra francese di Coppa Davis negli anni Venti. Un quartetto talmente formidabile, che nel 1927 in loro onore - dopo il successo colto negli Usa - viene eretto un nuovo tempio del tennis. Lo battezzano “Roland Garros”.

Quell’estate fa un gran caldo. René, che non ha mai rimosso quei titoli di giornale, fa tagliare le maniche lunghe alle maglie della squadra. D’un tratto diventano fresche polo. Sulla sua fa cucire un enorme coccodrillo verde, all’altezza del cuore. Al campo d’allenamento i compagni gliela invidiano. Allora chiama i suoi sarti e ne fa preparare altre tre. La scena inizia a ripetersi in giro per il mondo. La richiesta si moltiplica. Lacoste dapprima regala le sue creazioni, poi intuisce che la faccenda sta assumendo contorni giganteschi. Svolta così, improvvisamente, la vita di un tennista validissimo. Inizia, senza preavviso, la prodigiosa favola del Lacoste imprenditore.

Molla lo sport appena varcati i trent’anni, fiaccato da una debilitante forma di tubercolosi. Dal tennis però non si disintossica mai: inventore effervescente, propone uno dei primi prototipi di racchetta in metallo. Un’intuizione destinata ad archiviare il ricorso al legno. Le sue linee di abbigliamento nel frattempo esplodono.

Lacoste diventa un fenomeno mondiale, un modo di essere, un’icona fuori dal tempo, un impero miliardario.

Chissà se René si sarebbe mai immaginato tutto questo, mentre premeva il naso contro quella vetrina di Boston. Ma i sogni, si sa, cominciano ad accadere quando li fai.

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