Stan Smith, il tennista prima della scarpa

Ha legato indissolubilmente il suo nome alla celebre sneaker, ma è stato molto di più: un asso della racchetta al servizio del merchandising

Stan Smith, il tennista prima della scarpa
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A Pasadena l’asfalto ribolle sotto il tramestio dello skateboard. Vira, accelera, si cimenta in salti acrobatici. Sì, ci sa decisamente fare. A dispetto di quel fisico dinoccolato e solo apparentemente legnoso, il giovane Stan infila sequenze di movimenti fluidi. Di cognome fa Smith. Classe ’46: dunque affonda i polpastrelli dentro alla pastura effervescente della ripresa post-bellica. Lo skate però regala soltanto soffici brezze. Il vento destinato a spostarlo dentro è un’altra cosa.

Comincia a farci conoscenza, l’impaziente Stan, ai tempi della University of Southern California. Qui inizia ad affinare quello che diverrà il suo leggendario serve and volley. Qui spunta la prima ostinata peluria sotto al naso, destinata a mutare in baffo folto e vigoroso. Qui anche le prime avvisaglie di un’incipiente stempiatura, magistralmente corretta più avanti con un riporto da oscar. Quando stringe una racchetta tra le dita, il suo mondo interiore assume improvvisamente significato. Munito di una classe naturale sostenuta da un fisico stentoreo, surclassa in fretta i compagnucci.

Durante questo avvampante periodo lo nominano per ben tre volte All American. Tra il ’67 ed il ’68 vince il titolo NCAA singolarmente e in doppio. Con il compare Robert Lutz plasma la formidabile coppia capace di afferrare la prima finale in un torneo dello Slam e di sollevare lo US Open. Sono anni fragorosi. Nel 1970, sempre insieme a Lutz, vince anche gli Australian Open. A fine anno prende parte anche alla prima edizione della Master Cup, trionfando di nuovo, sia nel singolare che nel doppio, ma stavolta con Arthur Ashe al suo fianco.

Smith
Stan Smith impegnato sull'erba di Wimbledon

Gli addetti ai lavori scorgono in lui qualità disumane. L’irruenza del fisico è sapientemente bilanciata da un tennis chirurgico, pulito, issato oltre la banalità da un serve and volley - per quegli altri - lacerante. Il suo è un gioco che finisce per bonificare la veemenza avversaria con quei lungo linea cristallini, i dritti lapidari, quei rovesci depurati da lazzi. Sì, il suo pamphlet tennistico sta probabilmente racchiuso qui: l’asso losangelino non sciorinerà un gioco sfrigolante, ma il suo tasso di errore è prossimo allo zero assoluto. Una circostanza sfiancante per chi se lo trova davanti.

Segni particolari non secondari, che continuano a spingerlo verso il successo. Nel ’72 arriva anche quello più prestigioso di tutti, sull’erba londinese di Wimbledon. Qui divelge i sogni di gloria di Nastase, che precederà in testa alla classifica del circuito proprio grazie a quel trionfo. Nello stesso anno Stan è decisivo quando si tratta di imprimere una svolta per sbattere in bacheca la quanta coppa Davis statunitense. Contro un altro rumeno, Tiriac, nell’incendiario ambiente del Club Sportif Progresul di Bucarest, Smith riesce a sgominare il piano avversario con una performance sontuosa. L’incontro risolutivo tra le due nazioni si conclude con un quinto set memorabile, malgrado le chiamate avverse dell’arbitro, il tifo incandescente dalle tribunette e qualche scorrettezza di troppo da parte di Tiriac.

Più avanti, in quel doppio che per lui era autentico giardino di casa, vincerà di nuovo a manovella l’US Open: crampi alle braccia per tutti quei trofei alzati contro il cielo, nel ’74, nel ’78 e nell’80. Non fosse per il duo composto da Peter Fleming e John McEnroe, la sua collezione privata strariperebbe. Nel 1987 poi il telefono che squilla distribuisce un’altra buona novella: l’hanno inserito nell’International Tennis Hall of Fame.

Sneaker Stan Smith
Stan con la celebre sneaker che porta il sui nome

Appare così almeno singolare il fatto che oggi, se digiti “Stan Smith” su un motore di ricerca o provi a chiedere in giro, la prima risposta corra subito verso la celebre sneaker dell’Adidas. D’accordo: nel 1972 Stan, all’apice del successo, sigla in Baviera uno storico accordo con Adolf Dassler. Ok, nasce una scarpa iconica, pelle bianca, suola sintetica, quelle tre strisce ammiccanti e il rinforzo posteriore. C’è anche il suo viso sulla linguetta. Il mercato a stelle e strisce, ancora immacolato, ne fa incetta. Se ne vendono a tonnellate.

E, a distanza di mezzo secolo, le Stan Smith sono ancora un prodotto di punta del colosso tedesco.

Va bene tutto. Ma prima delle emozioni messe a reddito c’era un tennista. E mica uno qualunque. Stan Smith ribolle ancora come le strade di Pasadena, ogni volta che ci ripensa.

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