È un incubo. In un mondo devastato dalla speculazione selvaggia, delle periferie che umiliano tutte le città italiane, avendo trasformato, se non la penetri, l'Italia nel Paese più brutto del mondo, con un'edilizia miserabile e mostruosa che in 60 anni ha superato il costruito dei 2700 anni precedenti (dei 25 milioni di edifici esistenti in alzato, 12 milioni sono stati eretti tra il VI secolo a.C. e il 1959, e 13 milioni dal 1960 a oggi), ora la grottesca «transizione ecologica» nasce e distrugge anche il paesaggio, per ciò che ne resta intatto. Perde senso l'articolo 9 della Costituzione: «La repubblica... tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Fanno ancora soffrire le parole di Pasolini nel documentario Pasolini e la forma della città: «Io ho scelto una città, la città di Orte..., ho scelto come tema la forma di una città, il profilo di una città... Io ho scelto un'inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta, ed è più o meno l'inquadratura così; basta che io muova questo affare qui, nella macchina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città, è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo, che è quella casa che si vede là a sinistra. La vedi?».
Pasolini vede la città costruita su uno sperone di tufo ed è disturbato dal brutto condominio che vede a sinistra. Lo si può capire, anche se da allora la situazione è ovunque peggiorata. Ma ancora più preciso è quando richiama la nostra attenzione su un dettaglio, un sentiero. Poco più avanti, infatti, percorrendo un «selciato sconnesso e antico» presso Orte, Pasolini aggiunge: «è un'umile cosa, non si può nemmeno confrontare con certe opere d'arte, d'autore, stupende, della tradizione italiana. Eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore, con cui si difende l'opera d'arte di un grande autore... Nessuno si batterebbe con rigore, con rabbia, per difendere questa cosa e io ho scelto invece proprio di difendere questo... Voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende, che è opera, diciamo così, del popolo, di un'intera storia, dell'intera storia del popolo di una città, di un'infinità di uomini senza nome che però hanno lavorato all'interno di un'epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi e più assoluti nelle opere d'arte e d'autore... Con chiunque tu parli, è immediatamente d'accordo con te nel dover difendere... un monumento, una chiesa, la facciata della chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico è ormai assodato ma nessuno si rende conto che quello che va difeso è proprio... questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare».
Eravamo nel 1974.
Vicino a Orte, nella Tuscia, quei luoghi meravigliosi, fino ad oggi risparmiati, sono minacciati da parchi eolici e pannelli fotovoltaici. Previsti in prossimità di paesi mirabili come Tuscania, Ferento, Valentano, Latera, si presentano come necessari a una energia pulita, verde. Ormai sconvolte la Puglia, il Molise, metà Calabria, la Sicilia (la strada che Cesare Brandi definiva la più bella del mondo, quella che va da Palermo a Mozia, è crocifissa da 850 pali eolici, più della metà fermi, magnificati da Totò Riina come la fonte della ricchezza di Matteo Messina Denaro), si sale fino al Lazio per sconvolgere l'intatta e preservata Tuscia. Come spiegare e come difendere la numinosità del paesaggio?
Chiunque abbia un poco di sensibilità non può non percepire nel paesaggio la manifestazione di una sacralità assoluta. «Ma niente di teologico o religioso, sia chiaro - anzi: ciò è quanto maggiormente può svilire quella manifestazione - come nemmeno di meramente estetico, solo legato alla percezione (pur possente ed emozionante) della bellezza naturale del paesaggio e neanche di sovrannaturale. No, è invece qualcosa di ben presente nel paesaggio stesso, in forma tangibile e non immateriale, che ne determina la forma, l'armonia geomorfologica, il senso, il valore filosofico».
Così scrive Luca Rota. Dovremmo essere un esercito per spiegare ciò che dovrebbe essere evidente, davanti a noi come un dono di Dio; e invece, a fianco dei comitati d'affari, sostenuti dalla mafia, si schierano associazioni cosiddette ambientaliste, come Legambiente, WWF e Greenpeace, per contrapporsi all'ultimo baluardo per la difesa del paesaggio e del patrimonio monumentale. È doloroso leggere, per chi ancora crede che l'Italia sia il giardino d'Europa, il presidente nazionale di Legambienfe, Stefano Ciafani, che dichiara con improntitudine e atteggiamento di sfida: «le Soprintendenze frenano la transizione ecologica». Si vergogni Ciafani che vuole mano libera per sconvolgere per sempre il paesaggio italiano, incapace di capire e di sentire. Ciafani, alla domanda di Luca Fraioli della Repubblica, «Si riferisce agli impianti eolici e fotovoltaici?», risponde: «Soprattutto a quelli. Per rispettare gli impegni presi a livello internazionale sui tagli alle emissioni di CO2 ne dovremo costruire tanti e in fretta. Ma finora dai soprintendenti sono arrivati quasi sempre dei no. In Sardegna, per esempio, la società che gestisce un campo eolico voleva ridurre il numero di pale per metterne di più potenti: le è stato impedito. A Taranto l'impianto eolico offshore è stato bloccato per l'impatto paesaggistico... Certo ha contribuito anche un ambientalismo sbagliato. Ma credo soprattutto sia un problema di formazione dei dirigenti delle soprintendenze. Chi ha studiato sui testi sacri dell'impatto ambientale probabilmente considera un orrore modificare il paesaggio con una torre eolica. Ma il paesaggio italiano è sempre stato modificato: dagli acquedotti romani, dalle cupole, dalle autostrade. Ci sono cose che vanno fatte bene, ma vanno fatte».
Parole agghiaccianti contro una tradizione, una civiltà che è stata conservata grazie alle leggi di tutela e ai soprintendenti. Se l'Italia della bellezza e il suo sacro e variegato paesaggio si conservano ancora, nonostante le ferite, si deve agli eroici soprintendenti che si sono contrapposti alle lobby affaristiche che oggi hanno convertito i loro interessi in energia pulita, indifferenti all'integrità dei luoghi, al loro silenzioso mistero. Con impudenza Ciafani afferma che il Ministero della cultura, che ancora chiama «Mibact», «dovrebbe aggiornare le linee guida sulle installazioni delle rinnovabili, che risalgono a più di 10 anni fa, per adeguarli in modo chiaro ai nuovi obiettivi energetici del paese. Ma speriamo anche che nel decreto semplificazioni in arrivo sia prevista la consultazione pubblica prima di realizzare un'opera, come si fa da anni in Francia. Si apriranno migliaia di cantieri e se non si recepiranno i pareri dei territori il rischio è che l'Italia diventi un paese in guerra civile».
Minacciare la guerra civile e invocare per la bellezza il tribunale del popolo, con una classe politica di inetti e ignoranti, è il terribile obiettivo di un'associazione ambientalista. Non ci si vuole credere: una programmatica, sistematica distruzione della bellezza, in nome di una «transizione estetica» senza fondamento e senza rispetto. Ciafani è sereno e incosciente e, con tranquillità, dichiara: «le rinnovabili modificheranno alcuni paesaggi ma permetteranno la bonifica di tanti altri». Il paesaggio che abbiamo visto, il paesaggio che abbiamo amato, il paesaggio per millenni incontaminato, è ora preda di vandali e di barbari che ci minacciano. Occorre in Parlamento, nella società che ha conservato la consapevolezza, un richiamo alto e forte alla sconsiderata minaccia all'integrità del paesaggio. Non dovranno passare.
Lo dobbiamo a Pasolini, a Cesare Brandi, ad Antonio Cederna, a Giorgio Bassani, a Carlo Ripa di Meana, a Oreste Rutigliano, a Gian Antonio Stella e a tutti gli esponenti di Italia nostra che hanno pietosamente difeso il paesaggio italiano, minacciato a Sepino, a Tuscania, a Montalcino, in Salento.Alziamo un grido, o l'Italia sarà perduta.
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